Zuma – Alleanza Galattica, 2-3-4/6/2017
Milano, Cascinet.
Abbiamo seguito due delle tre serate del festival milanese, qui il nostro racconto e le relative impressioni. Una menzione speciale va al lavoro svolto dal collettivo di Hybrida Space, che ha caratterizzato l’intero evento con le sue speciali proiezioni.
Venerdì 2 giugno
Music is love, vento, nostalgia di quando eravamo re immortali, estate e a gonfiare le tasche e il cuore, West Coast, anni Settanta, essere scalzi, liberi. Mi si perdoni la tirata retorica (del resto ognuno di noi ha bisogno di un poco di retorica per inventarsi la sua minima mitologia personale), ma la serata inaugurale dello Zuma a Milano, venerdì 2 giugno, è stata semplicemente splendida. Se solo potessi ricordare il mio nome (If i could only remember my name), titolava il suo capolavoro David Crosby. E noi, e tanti altri credo, il nostro nome vero e profondo ce lo siamo ricordati, alla Cascinet , in un angolo magico sottratto ai grigiori di Milano. Due palchi più un altro stage in un seminterrato, per una situazione che ha avuto davvero del miracoloso, per il senso di profonda armonia e pace che ha saputo comunicare. Inizia la kermesse, nel raccolto spazio dell’abside, Vacuum Templi, maglietta nera dei Godflesh a tradire le influenze di un suono nero come la pece, registratore a cassette, pedali e synth, per una sonorizzazione semplice quanto efficace. Bravo. Poi è il turno dei Jealousy Party, letteralmente straordinari. Se non li avete mai visti live, se capitano dalle vostre parti, non fate la sciocchezza di perderli. Descriverli è complicato. Sappiate solo che sono in due (voce e cdj) ma hanno la botta (vuota, come il loro ultimo ep) di una big band. Groove mobili e impossibili, soul per davvero free, elettronica deformata e umanissima, scat scatenato, nonsense pieni di senso, balbuzie funk, afflato gospel, un approccio muscolare (muscolato, come dicono loro) e sottile, per un live delicato e strabordante, che fa strabuzzare le orecchie ancora una volta. Prodigiosi.
A seguire Björn Magnusson, lo-fi droghereccio senza infamia e senza lode, l’unica segnalazione che mi sento di fare è per il look del batterista, che sembra uscito da un b-movie degli anni Ottanta.
Sul palco Sempione, mentre inizia ad arrivare sempre più gente, si celebra un incontro tra generazioni diverse del free: quella anni Settanta di Gaetano Liguori al pianoforte e degli anni Zero senza compromessi e spappolati del Jooklo Duo: massimo sostegno politico a questo progetto e grande ammirazione per la libertà e la tenacia con cui si muovono e collaborano con chiunque in giro per Europa e Usa per spargere il verbo della fire music. Sul live in sé avremmo qualche osservazione da fare, ma in quest’occasione il puntiglio critico può tranquillamente andare a farsi fottere. Complimenti per l’energia e la libertà con cui si lanciano in un’improvvisazione spericolata, non sempre avvincente, ma comunque tosta e libera per davvero.
Nella scaletta, molto ben pensata dagli organizzatori, si alternano momenti più convulsi a oasi distese, come nel caso di Krano, che col suo blues sfatto, paludoso e cantato in dialetto veneto (scelta questa molto felice) convince ancora una volta. Fermo ad un crocicchio di pianura con una bocia de vin in mano, Krano – prima di vendere l’anima al diavolo del blues – ha lasciato cadere sul pavimento (forti le assonanze con certi numeri della band di Stephen Malkmus) un pacchetto di sigarette: la sua voce roca sembra reclamarne altre, come altro vino. Bravo, amaro e divertente al tempo stesso.
Dal Veneto voliamo poi in Ghana per la trance percussiva del grande King Ayisoba, voce di cartavetro e fisico possente, a imbracciare un kologo (liuto a due corde) che produce semplici quanto efficaci linee melodiche sostenute da una baraonda di percussioni. Una versione primitiva dell’afrobeat di Fela Kuti, ridotto all’osso e senza contrappunti di fiati, un groove inesorabile e rurale che conquista tutta l’ampia platea, ed anche io mi ritrovo a ballare, travolto dal ritmo. Chiude poi in elevazione verso sfere celesti l’ipnosi analogica di DSR Lines, un trip per sintetizzatore, come vedere un’aurora boreale. Ci sarebbe anche Everest Magma nell’abside, ma la folla è troppa e siamo francamente pieni di musica, per cui possiamo tornarcene felici a casa, l’ora e mezza di autostrada non ci peserà affatto. Speriamo di rivederci l’anno prossimo a Zuma, e speriamo di rivedere anche il fantastico freak belga con maglietta optical e sguardo serpentino che non ha mai smesso di ballare. Molto belli e perfettamente in tema di alleanze galattiche, brotherhood of breath, spremuta di puttane (Bitches Brew ), imprese spaziali e mondi eliocentrici sia il dj-set di spiritual jazz in apertura (e già lì il freak belga regalava buone vibrazioni, ballando come uno sciamano Sun Ra) che il visionario light show approntato dai ragazzi di Hybrida. Complimenti davvero, al ballerino e a tutti quelli che hanno reso possibile questo sogno. (Nazim Comunale)
Sabato 3 giugno
Al sabato pomeriggio riesco ad arrivare giusto in tempo per ascoltare l’ultima parte del workshop di Walter Maioli dal titolo “Il Suono: dai primitivi all’elettronica”. Un paio di pezzi suonati col suo flauto e con l’accompagnamento percussivo non sono però sufficienti per giudicare una cosa che in fondo non è una performance tout court, bensì una dimostrazione di quanto sviluppato in anni di studi e di ricerca da parte del fondatore degli Aktuala. Subito dopo è la volta dei romani Acchiappashpirt, cioè del binomio Jonida Prifti e Stefano Di Trapani (di quest’ultimo s’è parlato in tutte le salse in questa pagine). Mezz’ora scarsa di giochetti noise, tra radio-frequenze impazzite e kaoss-pad, con la Prifti a recitare i propri componimenti poetici: pensate a una sorta di versione electro-noise di una dimostrazione musicale futurista e riuscirete a capire, più o meno, di cosa si è trattato, li vedrei bene in contesti da galleria d’arte contemporanea. In occasioni del genere non si riesce mai a vedere tutto, infatti mi perdo clamorosamente ciò che accade nella suggestiva abside – Barnacles di Matteo Uggeri, Valerio Maiolo e Garage Olimpo – in compenso mi godo il set ultra-freak dei redivivi Embryo, ensemble tedesco guidato dalla figlia di uno dei componenti originali, Maria Burchard. La ragazza ce la mette tutta per portare avanti lo spirito della band e insieme ai suoi sodali mette su un set forse non particolarmente inventivo: vari i passaggi piuttosto regular, ma suonati con la giusta tranquillità e il necessario piglio free, un’ora di sax, pianoforte, vibrafono, basso, chitarra e batteria amalgamati alla meglio, propri di quello spirito free-jazz imbevuto di fragranze kraut come solo i tedeschi hanno saputo fare in passato. È la volta dei Cacao, duo basso e chitarra che propone una cosa che definire informe è dire poco, un set di note slabbrate che si inseguono, si accarezzano e non vanno proprio, volutamente, da nessuna parte, pensate ai Don Caballero senza l’appeal metallico, difficili ma allo stesso tempo immediati e in fondo interessanti. Invece il terzetto tastiera-sassofono-batteria degli Halfalib non riesce a trasmettermi molto, c’è da dire che vivere un festival praticamente all’aperto e con la possibilità di andarsene in giro porta a piacevoli distrazioni, vedi alla voce merch notevole ai tavoli vicini, passeggiate nel parco, ottima birra e cocktails firmati dalla premiata ditta del Dal Verme. Eppure, il loro pop pianistico non mi ha catturato… succede. Verso le 21 arriva al palco Sempione Mike Cooper. Cos’altro aggiungere su di lui? L’inglese è praticamente un outsider che continua ad andarsene per la propria strada, impervia ovviamente, perso tra smanie improv e ricordi hawaiani (le sue famigerate camicie sono ormai un marchio di fabbrica). Ma non siamo di fronte ad un fenomeno da baraccone, anzi… Cooper ha la forza di addrizzare qualsiasi cosa, anche un set partito in sordina, ma che alla fine conquista il pubblico.
Alle 22 arrivano quelli che sono considerati gli headliner di questo festival, i Futuro Antico. Sono in formazione completa, oltre a Maioli ai flauti anche Riccardo Sinigaglia al synth e Gabin Dabiré alle percussioni. Sono in un certo senso anche una scommessa degli organizzatori, Dome di Black Sweat Records in primis, che ne ha caldeggiato il ritorno ristampando alcuni loro dischi ormai introvabili, e obiettivamente la doppietta comprendente l’omonimo e Dai Primitivi All’Elettronica è un documento sonoro imperdibile. L’esibizione fila via abbastanza tranquilla, non ci sono particolari picchi esecutivi, si fa però notare il decisivo lavoro di cucitura di Sinigaglia, a dimostrazione che la loro è, era, una musica tutta mentale e figlia del particolare momento storico nel quale nacque. È stato bello vedere che gli anni passati non hanno scalfito la loro voglia di mettersi in gioco.
Dopo una breve pausa, il tempo di sistemare gli strumenti, entrano in scena i veneti Squadra Omega. Bordin e soci ce la mettono tutta per infuocare idealmente il palco a loro assegnato e ci riescono. La loro è una proposta che gioca d’astuzia con specifici riferimenti del passato psichedelico, che – inutile negarlo – sono un pallino della band, basta ascoltare l’ultimo Materia Oscura per credere. Riescono però a catturare l’attenzione grazie a soli chitarra, basso e batteria: oggi sono in tre rispetto, ma sono esistite anche line up allargate. Il loro è un set intenso e veloce, anfetaminico quasi.
Chiudono i romani Rainbow Island, trio con laptop, synth, effetti, voce e batteria, che ha l’ardire di unire selvaggiamente il suono live – la batteria appunto – con inserti elettronici dal taglio colorato e psichedelico. La loro è una sorta di pantomima electro-free rancida e divertita, che però fa ballare e genera euforia. Non succede spesso di trovarsi di fronte a concerti simili, per loro oserei dire che sono anche meglio che su disco.
Lo Zuma significa bella situazione, bella gente, bello pure il claim che si sono scelti gli organizzatori: goditi questo momento, rispetta la cascina, le persone e lo spazio che ti circonda. Non devo aggiungere molto altro. Però un auspicio lo faccio: mi piacerebbe assistere a un’altra edizione il prossimo anno. (Maurizio Inchingoli)
Grazie a Susanna Tosatti e a Francesca Tuzzi (di Hybrida Light Show) per le foto.