ZONG, Astral Lore

Astral Lore è il secondo album degli australiani Zong, power trio dedito a composizioni interamente strumentali che mi ha stupito molto in positivo. Pur essendo un amante del genere, l’idea di ritrovarmi di fronte all’ennesimo “gruppo clone” degli Electric Wizard (basandomi erroneamente sulla durata dei singoli brani) mi intimoriva. Mi aspettavo una riproposizione dei soliti riff sentiti all’infinito e all’infinito ripetuti, per episodi in media di dieci minuti, che invece avrebbero potuto durare la metà. Così non è stato: quattro tracce che vanno da un minimo di 8 minuti a un massimo di 14 e che formano una specie di unico brano stoner psichedelico strumentale dalle varie sfumature.

“The Serpent” è il primo pezzo e il più lungo: lo potremmo considerare un prologo, nel senso che contiene tutti gli elementi compositivi che ritroveremo poi nel corso di tutto il disco. L’apertura mette subito in chiaro con chi hanno debiti gli Zong: prima di proseguire sulla linea di un proto-stoner con accenni chitarristici orientaleggianti, “The Serpent” inizia con un riff e degli effetti atmosferici che non possono non ricordare il primo dei Black Sabbath, che torneranno più volte durante l’ascolto (da segnalare l’intermezzo di “Encounters On The Astral Planet”) per fondersi con momenti più “space” e distorti, per la felicità dei fan di Sleep ed Earthless. Numerosi poi i frangenti di psichedelia ai limiti dello sperimentale, che lasciano trasparire l’influenza della Germania anni Settanta di Cosmic Jokers e Guru Guru, fino a vere e proprie parentesi shoegaze di riverberi e delay, ferme restando ritmiche più ossessive ed “heavy”. A questo proposito è da segnalare “Spheres Of Nebula”, il secondo brano che – anche con qualcosa più tendente al desert – ricorda tra gli altri i “viaggi” composti dagli Yawning Man. Tali sonorità pervadono tutte le quattro tracce dell’album, che si chiude con la pesantissima “Primordial Void”: ritmica e chitarre qui richiamano, come si diceva, gli Electric Wizard e chiudono nella maniera più “stoner” possibile un disco variegato che regala un viaggio musicale e mentale a cui dare almeno una chance.