Zone del disastro: breve storia dei Locrian + 2 parole su New Catastrophism

Locrian

André Foisy (chitarre) e Terence Hannum (sintetizzatori) diventano i Locrian nel 2005, a Chicago, Illinois(e). Nel 2005 drone metal e post-metal sono la norma nell’underground, o quasi, e loro sono parte di questo momento in cui si riesce a immaginare Fennesz e Sunn O))) su di uno stesso cartellone e in cui gente con gli occhiali (non war metal) ti parla di Steve Reich e cinque minuti dopo dei Mayhem. Niente canzoni, ma pezzi strumentali – la voce, quando c’è, è quasi un grido e basta – trasversali rispetto ai generi: ambient (Fripp & Eno), post-rock forse, elettronica passatista e qualche influsso carpenteriano prima che fosse di moda, noise chitarristico (Skullflower? Earth?), spezzoni metal. Il sound sarà comunque sempre ispirato dallo stesso immaginario: rovine lasciate dal capitalismo e dallo sviluppo, magari dopo che l’uomo s’è estinto.

Drenched Lands, forse il primo album vero e proprio dei Locrian, esce nel 2009 per Small Doses e At War With False Noise: la colonna sonora del lockdown 11 anni prima del lockdown, con le “macchine” di Hannum che a volte sembrano andare avanti da sole e senza scopo, in assenza dell’umanità che le ha create. Rain Of Ashes, sempre del 2009, conferma del modo di comporre dei due: tensione/rilascio, pieni/vuoti, stratificazione progressiva di suoni. Parlando delle pubblicazioni più consistenti e non delle mille micro-uscite o di tutti gli split, Territories (2010) è un disco collaborativo in cui è coinvolto il carismatico Mark Solotroff (Bloodyminded, alla voce in un paio di pezzi, soprattutto nell’eccellente “Inverted Ruins”), ma vi partecipano anche Andrew Scherer (Velnias) e Blake Judd dei più famosi Nachtmystium, all’epoca non era ancora caduto in disgrazia, per fondere le atmosfere di base del progetto col black metal. In “The Columnless Arcade” arriva Bruce Lamont (Yakuza), sassofonista che in quel periodo sentivamo ovunque in questo tipo di lavori meticci.

Nel 2010 entra Steven Hess stabilmente alla batteria. Steven è il prototipo del batterista aumentato ed è in grado di esprimersi in ogni tipo di contesto (se non vi fidate di me, leggete cosa mi ha detto Mark Nelson). È l’ora di The Crystal World, forse il loro capolavoro (se ne accorsero anche a Blow Up): meno derive, più controllo della situazione e un bel riferimento a Ballard, sicuramente un’influenza-base per i Locrian (era morto solo un anno prima, no?). Il romanzo “The Crystal World” (“Foresta di cristallo” in Italia), non per caso, è la storia della fine del tempo e dunque del mondo, ciò di cui la band aspira dall’inizio a essere la OST. Ad aiutarli Utech Records e l’illustratore Justin Bartlett, oggi reduce da una bruttissima malattia, uno dei migliori in giro: ancora drone, ancora rovine, l’urlo bruciante di Hannum in “Obsidian Facades”, sempre qualche collegamento al black metal così come una tendenza a ricordarsi della prima elettronica, ma anche melodie quasi simili a quelle del doom metal e frammenti acustici.

L’ascesa prosegue. Dopo The Clearing del 2011 (che aggiunge non troppo a quanto fino a quel momento fatto dai Locrian), ecco cosa scrivo nel 2012 per lo split coi Mamiffer: il set è a Chicago, presso gli Electrical Studios di Steve Albini. Protagonisti i Locrian e i Mamiffer, co-protagonisti Alex Barnett (Oakeater) e Brian Cook (Russian Circles), regia di Greg Norman (il numero 2 degli Electrical) e Randall Dunn (produttore di Earth, Sunn O))), Boris). Film sperimentale, basato su varie idee che hanno tutte a che fare con metamorfosi e fecondazione […]. A volerla fare semplice, i Locrian immergono nel rumore e nelle basse frequenze il lavoro minimalista al piano di Faith Coloccia, giocando sull’incontro/scontro tra elettrico ed acustico […]

Nel 2013 Relapse li “scopre”. Da quelle parti, anche se sono “i grossi” dell’ambiente, non si gioca sempre sul sicuro e i Locrian sono in effetti una bella scommessa. Return To Annihilation ha la copertina più locrian-iana dei Locrian, il contenuto, invece è molto più vario, in continua oscillazione tra i temi ricorrenti del gruppo e nuovi tentativi (“A Visitation From The Wrath Of Heaven”, pulsante, “Eternal Return”, mezza shoegaze). Molto bella come copertina anche quella di Infinite Dissolution (2015), sempre su Relapse: “The Eye” sembra essere il fermo immagine di un’esplosione nucleare e in qualche modo simboleggia le mille sfaccettature dei Locrian. I tre sono ancora più strutturati (e pure “endorsati” dalla Moog!), più concisi e allo stesso tempo con qualche vezzo prog, dunque siamo lontani da Drenched Lands: “Arc Of Extinction”, alla fin fine, è una traccia black metal “alla statunitense”, così come “An Index Of Air”, ma i Locrian ci lasciano sopra con successo la loro impronta atmosferica, rendendole gli episodi più memorabili del disco. La storia su Relapse del gruppo, in ogni caso, è quella di una trasformazione incompiuta, anche perché dopo si fermano a lungo.

A sorpresa, nel 2022, dopo che tutte le sue più nere previsioni si sono verificate e continuano a verificarsi, il terzetto riappare su Profound Lore con New Catastrophism, che sarà pure “new” ma è anche un ritorno a casa. La copertina, anche questa volta, ci parla di arte contemporanea e armageddon: “Trinity Cube” di Trevor Paglen “Trinity Cube”, una scultura composta da materiali trovati a Fukushima e da Trinitite, minerale che esiste perché gli Stati Uniti hanno buttato l’atomica nel Nuovo Messico (perdonate il copia/incolla da Wikipedia, che mi sembra però corrispondere alla descrizione data nel comunicato stampa: il nome dato al residuo vetroso formatosi nel deserto, vicino ad Alamogordo in Nuovo Messico, sul sito dell’esplosione avvenuta il 16 luglio 1945, del primo ordigno nucleare, chiamato in codice “Trinity” e basato sul plutonio). Le prime due tracce di New Catastophism sono paesaggi sonori bui e deserti: in “The Glare Is Everywhere And Nowhere Our Shadow” quello di Hannum pare un grido di aiuto, ma – non so perché – le percussioni incalzanti di Hess nel finale lasciano credere che non sia arrivato nessuno in soccorso. A proposito di Hess: forse è stato lui per “Incomplete Map Of Voids” a chiedere a Foisy un apocrifo di Pan•American, ottenendo un pezzo che è sempre dei Locrian vecchia maniera, ma con qualche colore differente e una conclusione che si libera da ogni similitudine. “Cenotaph To The Final Glacier” contiene una chitarra acustica, ma i fan – come si è capito – non si stupiranno, e rimescola ancora una volta le idee-guida del gruppo. Insomma, qui si è giocato sul sicuro, ma senza fotocopiarsi da soli.

P.S.: esiste anche una sorta di bonus, che è l’ep Ghost Frontiers: due discese nella profondità degli abissi senza Manuel Agnelli e quasi lustmordiane di un quarto d’ora ciascuna.