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YVES TUMOR, Praise A Lord Who Chews But Which Does Not Consume (Or Simply, Hot Between Worlds)

Il lungo titolo del nuovo disco di Yves Tumor sembra contenere un riferimento alle singolari invenzioni di Willy Wonka, protagonista del romanzo del 1964 di Roald Dahl, più volte oggetto di trasposizione cinematografica nonché di una recente polemica sul politically correct. Il dio che Sean Bowie ci esorta a lodare è un dio che mastica e non consuma, proprio quello che succede ai confetti ideati dallo strambo cioccolatiere. Qualcuno ha individuato nei romanzi di Dahl – in parte destinati ai bambini – tutta una serie di allusioni oscene (non ultimo Valerio Mattioli che nel suo Ex Machina accosta Wonka al trickster Aphex Twin) imboscate all’interno degli scenari sgargianti. L’operazione di Yves Tumor sembra andare proprio in questa direzione, nel saltare a piè pari la questione del politicamente corretto disseminando riferimenti occulti (quello di Yves appare in ultima analisi come un dio impresentabile, osceno ma cionondimeno degno di venerazione) e nel contempo partorendo musica che disco dopo disco diventa sempre più fruibile dal vasto pubblico, pur rimanendo all’interno di un’estetica queer, non svincolata da un certo gusto per la provocazione. La parabola artistica di Sean Bowie si è evoluta dagli esordi più elettronici e – per così dire – vaporosi come Teams in Teamm Jordann o nell’effimero sodalizio con James Ferraro (Bodyguard) passando per l’eclettismo ancora di nicchia del primo lp uscito a nome Yves Tumor per PAN nel 2016, fino all’approdo a Warp, laddove è venuta allo scoperto la ricerca di un suono sempre più impattante nei confronti dell’ascoltatore, dai risvolti che potremmo definire più pop. Non a caso per la produzione ci si è affidati stavolta a Noah Goldstein, uno che ha lavorato ai dischi di Kanye West, Nas, Rosalía, FKA Twigs, mentre il missaggio è opera di Alan Moulder, già all’opera con My Bloody Valentine, Nine Inch Nails e Smashing Pumpkins (nonché con Gianna Nannini): tutta gente che fa numeroni in termini di vendite. Yves Tumor sembra rifarsi stavolta – più ancora che in passato – a periodi musicali differenti, senza ricalcare niente in particolare ma miscelando il tutto con destrezza in ogni singolo brano secondo il suo stile ormai peculiare e riconoscibile: volendo semplificare al massimo potremmo dire che Praise A Lord… è il suo disco più rock, se questo non implicasse inevitabilmente connotazioni omofobe, razziste e misogine da cui il personaggio appare certamente avulso. Al di là di una coloritura power rock che investe un po’ tutto il disco, sono presenti richiami agli anni Settanta, ma più che a quelli del glam come suggerirebbe l’aspetto visivo della faccenda (e anche se il testo di “Parody” ci rimanda idealmente a “Lady Stardust” dell’altro Bowie) si strizza l’occhio alla discomusic (vedi “Ebony Eye” e i suoi archi sintetici), al postpunk (le chitarre in “Operator”) e ancora al pop anni Ottanta (la drum machine e le sventagliate di synth di Lovely Sewer), ai tardi Novanta e al dopo-grunge (“Meteora Blues”). In sintesi una commistione riuscita e originale, una conferma che vale ancora una volta il prezzo del disco.