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YVES TUMOR, Heaven To A Tortured Mind

L’italiano – penso non debba spiegarvelo io – è una lingua di una ricchezza e di una complessità incredibili, se parametrata ad esempio con l’inglese. Vi sono però aggettivi inglesi che si fatica a rendere in italiano, in special modo quando parliamo di musica.
L’aggettivo “smooth” letteralmente indica qualcosa di liscio, privo di asperità, ma non per questo privo di insidie: applicato alla musica va a designare sonorità viscose e atmosfere sudaticce, libidinose, tali da fare leva sulle pulsioni più estreme del corpo umano. Se dovessi indicare qualcuno che nel panorama musicale odierno si possa fregiare appieno di tale attributo, questo è proprio Yves Tumor. Originario della Florida, cresciuto in Tennessee, Sean Bowie pare graviti tuttora attorno alla città di Torino: dopo alcune cose autoprodotte fa il suo debutto vero e proprio su etichetta PAN con un disco godibilissimo per le numerose trovate al suo interno, difficilmente incasellabile in un genere preciso per quanto vicino alle istanze hi tech che all’epoca, era il 2016, nutrivano copiose il catalogo della label. Quindi il passaggio su Warp e il secondo disco che lasciava già intravedere una maggiore organicità – salvo alcune piacevoli sbandate free form – che trova ora piena espressione in questo nuovo lavoro, sempre pubblicato dalla label di Sheffield. In Heaven To A Tortured Mind Yves Tumor affonda le mani nel terreno più caldo della black music lasciando allo scoperto le radici, in una sorta di soul riportato al grado zero, anfetaminico e lubrico, imbastardito con il rock più smargiasso e sfregiato qua e là da qualche dardo bruitista rimastogli nella faretra, musica fatta di chitarre ben arrotate, ritmiche steroidee, giri di basso killer e sample di archi che ammiccano alla golden age della disco senza piacioneria alcuna: impossibile non muovere il culo sulle note di brani come “Dream Palette” o “Asteroid Blues”.
Abbiamo un dannato bisogno di personaggi eccessivi come Yves Tumor, imprevedibili, capaci di dare sostanza musicale a quella trasgressione dei codici, a quella sregolatezza e a quella licenziosità che furono di Little Richard, di Marvin Gaye, di Prince e di altri illustri “smooth operators”: per quanto mi riguarda Heaven To A Tortured Mind è fra le cose più belle e necessarie ascoltate quest’anno.