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YOSHIO MACHIDA & ŠIROM, Snakes Waiting For Blue Sky, Cold Road, Too Soon For Me

YOSHIO MACHIDA & ŠIROM

Il suono di una rivelazione: lampi, silenzi, satori, memorie labili che affiorano da passati remoti e monumentali, steppe immaginarie e notti lunghe secoli per attraversare le quali era necessario raccontare e raccontarsi storie. Ha la potenza visionaria e ancestrale del folk più profondo la musica di questi tre ragazzi, che dalle colline sopra Lubiana stanno sbalordendo chiunque si imbatta nella loro preziosa, fragile, imprendibile arte. Širom, dopo le meraviglie svelate con il loro capolavoro, I Can Be A Clay Snapper, pubblicato dalla lungimirante Tak:Til due anni fa, tornano con un’autoproduzione frutto di una residenza artistica assieme a un sodale dal Sol Levante.

Iztok Koren (banjo, bass drum, percussioni, balafon, campane tubolari), Ana Kravanja (viola, violino, mizmar, ribab, balafon, percussioni Bantu, oggetti, voce) e Samo Kutin (lira etiope, percussioni, hurdy gurdy, oggetti, voce e il qifteli, una sorta di mandolino albanese) in questo nuovo disco senza titolo sono accompagnato da Yoshio Machida (steeldrum, ukulele, shaker, cembali), musicista giapponese titolare dal 2004 dell’Amorfon, etichetta che spazia tra audio-art, world music, sperimentale, elettronica ed elettroacustica. Nel 2016 Machida ha pubblicato in terra d’Oriente I, il debutto del trio, poi i quattro hanno incrociato gli strumenti nell’ottobre del 2017 negli spazi della Layer House, un centro artistico e culturale a Kranji, in Slovenia, così chiamato in onore del pittore barocco Leopold Layer, vissuto a cavallo tra Diciottesimo e Diciannovesimo Secolo.

Come cantava Demetrio Stratos, di cui ricorreva il 22 aprile l’anniversario della nascita (è morto ben quarant’anni fa, ma l’eco della sua ricerca oltre le colonne d’Ercole della voce è ben lungi dall’essersi spenta), in “Evaporazione” (guardatevi il video live, trasmesso all’epoca sulla Rai, una vera e propria perla): abbiamo perso la memoria del Quindicesimo Secolo. Ma anche del diciottesimo, del dodicesimo, del settimo, delle guerre, delle fatiche, delle fami e delle favole di ieri, e di oggi, e probabilmente la capacità di pensare e immaginare futuri, frastornati da troppe immagini, da troppe informazioni. Si vive in un eterno presente che tutto fagocita, e Širom hanno il grande merito di restituire magia e profondità all’ascolto: miniature complesse e delicatissime che porgono melodie senza tempo, intrecci timbrici magnifici e desueti, che richiedono di fermarsi, tacere e semplicemente ascoltare. Sussurri, grida interiori, segreti perfettamente custoditi, un mood tra il rurale e il familiare che sa di nenia d’infanzia e di filastrocca: potremmo fare mille nomi, ma non vale la pena, perché questi musicisti hanno creato qualcosa di davvero unico e travolgente, capace di rapire chi ascolti con orecchie accorte e gli occhi aperti verso dentro.

“Siamo un trio folk sperimentale sloveno, siamo nati nel 2015. Descriviamo la nostra musica come “imaginary folk” o “folk da un universo parallelo”. All’inizio eravamo partiti come una band “drone/impro” e poi abbiamo sviluppato il nostro sound attraverso un numero enorme di sessioni d’improvvisazione con più di 25 strumenti, creando quasi sempre lentamente i nostri pezzi”: così mi dissero nell’intervista realizzata ai tempi del loro secondo disco, che Fabrizio Garau, lungimirante, mi propose dicendomi che era pane per i miei denti.

Non è cambiato molto nella miscela magica priva di effetti collaterali della band; aprite le finestre, alzate il volume, spegnete la luce, fateli ascoltare a chi potrà capire, non sprecateli con asettici file davanti ad uno schermo luccicante, procuratevi il disco (a quanto mi risulta non ha una distribuzione, per averlo scrivete a sirom.band@gmail.com). Sarà come bere un nettare che non avevate mai assaggiato, lacrime degli dei e stupori piccoli e monumentali come il dito mignolo di un bambino. Incredibile per quanto mi riguarda che praticamente nessuno in Italia ne abbia parlato, a parte noi. Poco male; voi non fate l’errore di lasciarveli sfuggire: Širom sono qualcosa di letteralmente straordinario e queste quattro lunghe tracce, tra brividi e sussurri, canti millenari e un folk antichissimo capace di fiorire in nuove, luminose,prospettive, sono una piena conferma della statura della band, che tornerà in concerto in Italia – dopo i live di un anno fa – il 10 maggio a Trieste, presso Hangar Teatri. Come dicevo in uno dei pezzi che ho dedicato a loro (non è un segreto, sono la band che sicuramente mi ha più colpito negli ultimi anni, li porto nel cuore): esistono ancora possibilità di bellezza intatta. Sapete cosa fare.