YOSA PEIT, Gut Buster
Non è facile dare una definizione o mettere un’etichetta a Yosa Peit e questo in parte è un bene, perché essere liberi di esprimersi filtrando tutti i suoni e le melodie assorbite nella propria vita è sempre positivo, mentre lo è un po’ meno quando certe volte si opta per il “famolo strano”. Ecco, il secondo album di Yosa Peit, che si intitola Gut Buster ed esce quattro anni dopo l’esordio Phyton, ogni tanto mi dà quest’impressione: intenso quando mischia certa elettronica glitch di ispirazione Warp con le particolarità di Björk e anche un po’ di hip hop sperimentale, ma a tratti perso nel suo cosmo personale quando si concentra su suoni processati che sembrano far parte di due improvvisazioni incollate insieme.
Voci ora trattate e poi più intense, cariche di pathos, si accompagnano a ricchi suoni di synth così come a scarni campionamenti distorti di basso elettrico: non c’è nulla di vietato, nulla di definito per cercare di rompere gli schemi espressivi, però questo alle volte potrebbe essere un’arma a doppio taglio, perché come si dice, il troppo stroppia e se ci si concentra solo sulle stranezze si potrebbe perdere di vista la visione d’insieme. Anche per quanto riguarda i testi, si alternano un approccio minimal (per cui una frase come “Guarda in giro” oppure “Incontriamoci a metà del cammino” riassume tutto) e uno più astratto (“Fidati del tuo istinto / Odio il tuo istinto / Fidati del tuo istinto / Odio le loro budella / Non devi mai dubitarne / Su ogni luna una bevanda dietetica / Su ogni pianeta una scala mobile / Su ogni roccia volante / Sono nato su un pianeta / Ho avuto fame e l’ho mangiato”), dando un ulteriore senso di straniamento.
Gut Buster è parzialmente un lavoro corale che vede collaborazioni da Berlino, Colonia e dal sottobosco musicale di New York: Employee, Funkycan, Gerry Franke, Glenn Astro, Nauker, Paingel, Tbz e UCC Harlo. L’album è stato mixato da Benjamin Vukelic a Portland e da Jan Brauer a Berlino.