YO LA TENGO, This Stupid World
Parlare delle istituzioni è fin troppo comodo quando non sbagliano un album nemmeno se prese a mazzate. Yo La Tengo, fondati 39 anni fa, Georgia, Ira e James. Pezzi dilatati e rugginosi su quella delicatezza ambientale che li contraddistingue da anni. Si divertono con maestria, alternando cavalcate eteree e brani più cadenzati, colorando questo stupido mondo con tinte crepuscolari e bluastre.
Possiamo esporci dicendo che, dalla fine dei Sonic Youth, certo ragionare out-rock passa necessariamente da Hoboken? Potremmo atterrare su qualsiasi punto di questo disco e trovare un brano per il quale decine di gruppi indipendenti americani degli ultimi 30 anni farebbe carte false. Se poi dovessi espormi ancora e dire i loro album che preferisco, allora sceglierei And Then Nothing Turned Itself Inside-Out e la raccolta Genius + Love = Yo La Tengo, ma sarebbe una scelta di pancia. Di certo qualunque ragazzo o ragazza di 18 anni, ascoltando “Sinatra Drive Breakdown” o la title-track, si emozionerebbe e gli si aprirebbero davanti porte per lui impensabili come primo approccio alla materia.
La copertina è stupenda, tra luce e lati bui, e l’intero disco dispensa energia ed intensità che potrebbero dilatarsi per delle mezz’ore intere: giri uguali a loro stessi, catarticamente lineari eppure alla fine sempre precisi e puntuali, quasi fossero frecce scoccate dall’altra parte dell’oceano direttamente verso il nostro cuore, o la nostra amigdala.
Poi arriva l’ultimo brano, “Miles Away”, un testo che fa accapponare la pelle, tanto ineluttabile e intimo che verrebbe voglia di abbracciare colei alla quale è riferito. Nel dubbio, comunque, abbraccerei proprio tutti: un altro colpo vincente, non ne dubitavo, ma così, con questa stagione, è un colpo basso, fa venire voglia aprire le finestre e costringere i vicini a goderne.