YEAR OF NO LIGHT, Consolamentum
Non è facile mantenersi all’altezza delle aspettative, nemmeno in un circuito piccolo come quello post-metal. Per gli Year Of No Light, gruppo capace di debuttare quindici anni fa con una gemma del calibro di Nord, la sfida si fa ancora più difficile. All’epoca la formazione di Bordeaux aveva azzeccato proprio tutto: massicce impalcature sludge metal come fondamenta per muri di suono shoegaze e intrecci psichedelici; passaggi introspettivi intervallati da riff graffianti di stampo crust e black metal. Le pietre miliari del genere rimangono ad appannaggio del Triumvirato (Neurosis, Isis, Cult Of Luna), ma alla band francese va il merito di aver conquistato posizioni ai piedi del podio al primo tentativo.
Eppure questo Consolamentum (titolo che richiama un rituale del movimento cataro destinato ad infermi e moribondi) arriva dopo un lungo periodo di incertezze. Col discreto Ausserwelt (2010) e il poco ispirato Tocsin (2013) gli Year Of No Light avevano rinunciato all’apporto del cantante in favore di una maggiore centralità delle tre chitarre, finendo però nel più classico dei vicoli ciechi, ossia quella masturbatoria tendenza a giocarsi tutte le carte con una manciata di riff pachidermici e crescendo post-rock.
Questi cinque nuovi pezzi ci parlano di una band che vuole ripartire da ciò che all’esordio aveva dimostrato di saper fare benissimo: pezzi istintivi, forti di un songwriting solido e privo di fronzoli, ma soprattutto capaci di coinvolgere l’ascoltatore. Non stiamo parlando di una mera riproposizione della formula di Nord: i maestosi intrecci del singolo “Réalgar” trasudano lo stesso misticismo delle indimenticabili “Traversée” e “La Bouche De Vitus Bering”, ma anche in pezzi di sicuro impatto come “Objuration” e “Interdix aux Vivant, Aux Morts Et Aux Chiens” si coglie la ricercatezza e la cura dei dettagli che mancava al debutto.
L’aspetto più incoraggiante dell’album, diversamente che in Tocsin, è senza dubbio il ritorno ad una narrazione fluida e decisamente meno impantanata negli stereotipi del genere. La conclusiva “Came” esplora persino sperimentazioni elettroniche, giocando su un tappeto di synth che porta all’estremo la tensione prima della deflagrazione finale all’insegna del blast-beat.
Vedo Consolamentum come il felice punto di approdo di quella barca salpata nel 2006 per affrontare le insidiose acque di Nord, ma che aveva poi perso la rotta e rischiato di andare alla deriva. Non penso che gli Year Of No Light vorranno interrompere qui il viaggio: l’esperienza accumulata andrà messa a frutto per ripartire con rinnovata fiducia verso nuovi orizzonti.