YAMANDU COSTA, 26/7/2021
Albinea Jazz Festival.
Fuochi d’artificio per l’apertura della trentaquattresima edizione dell’Albinea Jazz Festival, sulle primissime colline sopra Reggio Emilia. Francesco Bettini del Ferrara Jazz Club introduce giustamente Yamandu Costa come un fuoriclasse della sette corde brasiliana ed interprete di una summa di linguaggi del Centro-Sud America; il musicista dello stato di Rio Grande Do Sul, nella punta più meridionale e bianca del Brasile, confinante con l’Uruguay e l’Argentina, è figlio di una terra dove confluiscono tradizioni per le quali colto e popolare si compenetrano e, come nelle acque delle cascate di Iguazù, confluiscono retaggi di tradizioni argentine, uruguaiane e financo boliviane. Sul palco del cinema teatro Morandi, dove a causa del tempo incerto è stata dirottata la serata, il chitarrista mette in mostra il suo strabiliante virtuosismo riuscendo a non essere mai lezioso ma facendo trasparire una urgenza sincera ed una naturalezza che ha dello sbalorditivo nell’approcciarsi allo strumento. Inizia con un’improvvisazione su una ninna-nanna, creata come colonna sonora domestica per il saltare indomito dei suoi due bambini sul divano di casa in tempo di lockdown. Comunicativo e istrionico, Costa racconta che per lui in questo periodo comporre è stato come assumere una medicina contro la fine del mondo, che pare(va?) avanzare a grandi falcate. La musica è diventata anche l’unico modo per viaggiare, per lunghi mesi, ed ecco allora una Dança Rusa, poi una Valsa, ““La Graciosa”, composta durante un viaggio alle isole Canarie. A volte l’impressione, quasi irreale, è quella di ascoltare tre strumenti contemporaneamente: basso, percussioni e chitarra, con qualche incursione anche alla voce, per far partecipare anche il respiro a questo invito alla gioia. Costa non fa una piega, suona ad occhi chiusi, non guarda mai lo strumento e con una fluidità che ha francamente del sovrumano passa da strappi ritmici rapidissimi e vertiginosi a languori sempre molto cantabili, con quel fondo di struggente malinconia (la saudade, no?) che è cifra unica e inimitabile della musica brasiliana. Un mood da carnevale dove la festa è suonata da un’orchestra di un solo interprete si alterna a limpide memorie familiari, come quella della nonna veneta, per cui ha composto “Sararà” o un paio di samba come dolci medicine per guarire le ferite di questo tempo spezzato. Tutto sembra intatto e nitido, nella visione di Yamandu Costa: le canzoni del folklore, la sterminata tradizione del paese del samba e della bossa nova, la libertà del jazz, gli spigoli luminosi delle melodie brasiliane, un modo di porgere il canto sempre lieve ed un groove sottile ed instancabile. C’è spazio anche per un ritmo colombiano, il Porro, derivato della Cumbia, e per un tema del 2003, “El Negro Del Blanco”, dove si avvicina anche al Venezuela, in un benefico viaggio ad altissima quota verso latitudini, portati per mano da un musicista dal talento davvero raro che ci ha permesso di sorvolare le tristezze del tempo presente.