XIU XIU + (r), 2/4/2012
Bologna, Locomotiv Club.
Jamie Stewart è una sagoma e la sa lunga, non c’è dubbio. I suoi ferri del mestiere sono (per quest’ occasione) una mìse da portuale sadico e la chitarra a tracolla, la vera arma vincente che comanda le sue composizioni. Pur essendo un banale lunedì, il locale registra una discreta presenza di appassionati, composta in larga parte da fan della prima ora e pure da qualche signore attempato cresciuto a pane & wave. L’incipit è tutto di Fabrizio Modonese Palumbo, qui in veste solista a nome (r) e alla chitarra: ci presenta l’ultimo Drama Queen, accompagnato dal sodale Daniele Pagliero alle macchine. Supera la mezz’ora la sua “cosa”, persa com’è nei fumi waitsiani e nella grassa electro che gli è tanto cara. A questo affiancateci una voglia di buttarla in avant rock e il gioco è fatto. Peccato che l’insieme risulti a tratti anonimo; ci dispiace affermarlo, anche perché conosciamo i suoi trascorsi coi Blind Cave Salamander e soprattutto nei notevoli Larsen (tra l’altro, fu una sorpresa per il sottoscritto incrociarli al Covo solo una manciata di anni fa sempre di supporto agli Xiu Xiu).
Il tempo di un rapido cambio di palco e “Fabulous Muscles” apre le danze: ballata lenta e a mo’ di elegia, quasi il manifesto programmatico della poetica di Stewart. Si parte bene e per il resto del set, un’ora scarsa, come in un infinito viaggio a ritroso, si compie quella dissezione dell’animale pop tanto amata dai più attenti osservatori della materia. La formula è vincente: i ritmi spezzati con acume, l’incedere sadico del drumming e quella voce ansiogena creano un connubio perfetto, come una matrice forgiata in una fabbrica dalle tinte dark (il gruppo lavora ai fianchi delle canzoni con grande padronanza). Con i Cure nel cuore e il post-punk nei bicipiti: aggiungiamoci pure una voglia di farci ballare in modo scomposto, che quasi definiremmo sciagurato. “Hi” infatti è un take ruffiano in odor di techno-pop e “Beauty Towne” assolve alle paranoie di questo reietto queer. Il bis è poi convulso e sorprendente, l’uomo si misura nientemeno che con la “Frankie Teardrop” dei Suicide, a suggello di un’unione quasi scontata con gli autori newyorchesi di quella cosa primigenia che lega punk ed elettronica. Il pezzo è stuprato come solo l’autore di “Knife Play” e “A Promise” sa fare e l’omaggio è come assistere ad una copiosa polvere di stelle che cade improvvisa sulle nostre teste. Degna chiusura di un live più che dignitoso.
Ringraziamo Nicola Tenani per le foto.