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WOLVES IN THE THRONE ROOM, Thrice Woven

Alla fine pare che stiano lasciando in pace i Wolves In The Throne Room. I giornalisti hanno provato in tutti modi a storpiarli, ma questo disco dimostra per l’ennesima volta che sono un buon gruppo black metal e basta, magari con le sue peculiarità, magari con l’intelligenza di cercare sempre di far sì che i suoi pezzi abbiano qualcosa di speciale/diverso (in questo caso abbiamo le collaborazioni di Anna Von Hausswolff e Steve Von Till, ma anche opportuni rallentamenti, tastiere minimali, già per altro utilizzate in passato, parti acustiche e quant’altro possa servire ad arricchire un sound senza snaturarlo). Poi, quasi paradossalmente, oltre all’eterno amore per i paesaggi della Cascadia, a livello testuale stavolta ci sono molti riferimenti alla mitologia nordica, come a gettare un ponte verso la Scandinavia (la Von Hausswolff canta in svedese, per dire…), scelta che contraddice chi voleva a tutti i costi far esistere il black americano in un mondo completamente separato da quello europeo, dunque “nuovo”, dunque in qualche modo “rivendibile”… Stop alle riflessioni sui massimi sistemi.

I fratelli Weaver (chitarra/voce e batteria) hanno finalmente preso in pianta stabile con loro il chitarrista Kody Keyworth, che già li accompagnava in tour (li ho visti a Lubiana quest’estate e hanno suonato pure con una terza sei corde, nonostante io mi fossi auto-persuaso che era un basso, e con Brittany McConnell dei Wolvserpent alle tastiere): forse per questo Thrice Woven è così potente, coeso e tutto sommato, rispetto al passato, più ricco dal punto di vista della composizione (più metal tout court?). D’altro canto nessuno si stupirebbe se ne sentisse parlare come di un classico album à la Wolves In The Throne Room, dato che ci sono tutte le caratteristiche per le quali probabilmente in futuro ci ricorderemo di questa band: i riff che si trasformano quasi in paesaggio sonoro, l’energia, l’epica, ma anche una specie di tristezza di fondo, tutti, nel caso non si fosse ancora capito, elementi tipici del black più o meno dagli anni Novanta. In compenso, continua a non esserci mai quella componente sulfurea e mortifera altrettanto tipica del genere, il che è forse il motivo per il quale in passato qualcuno cercava di “riposizionarli”.

I fan si sono già comprati Thrice Woven dopo averne sentito mezza canzone, ma anche chi non li conosce (considero ovvio che però gli deve piacere la musica pesante) può iniziare da qui senza paura e, se si convince, può comprarsi in scioltezza il resto della discografia del gruppo. Io ho un debole per Black Cascade del 2009, se interessa.

Una sicurezza, insomma.