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WILLIAM BASINSKI (A Shadow In Time… For David Robert Jones) + PAUL BEAUCHAMP, 12/4/2016

Torino, Superbudda.

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Non capita tutti i giorni di poter vedere il musicista statunitense, per di più alle prese con degli inediti dedicati ad alcune delle figure che più gli stavano a cuore: l’artista contemporaneo Deng Tai e un’altra anima affine alla sua personalità, l’appena scomparso David Bowie.

Stiamo parlando di “grazia” e di “ricordo”, sostanziati da speciali musiche da ascoltare con la dovuta partecipazione, non è un caso che prima suoni Paul Beauchamp, con la consueta proposta fatta di blues evocativo dove trovano posto delicati loop di chitarra, opportunamente affogati in una bucolica base al limite di un ethereal-drone. Apertura rarefatta e consona all’occasione.

Breve pausa e appare William Basinski. Da subito si ha la sensazione di osservare un alieno, un “cowboy” perso tra immaginaria polvere di stelle e il peso del tempo che incombe sul suo particolare viso bambino. Presenta l’esibizione a voce alta e dà il via a una prima parte con quello che pare lo stralcio di una stortissima registrazione di un’orchestra, che procede in rigoroso loop e potrebbe non fermarsi mai: il suo personale marchio di fabbrica, insomma. Il secondo movimento vede invece una maggiore fluidità dei suoni e una felice commistione tra più atmosfere, tanto che si percepisce il desiderio dei tanti presenti di fluttuare con la mente nella speciale placenta creata dall’artista. Si tratta di musica malinconica e sacrale, è indubbio, ma fortunatamente mai tediosa, anche quando dà la banale idea di stare davanti alle macchine che fanno tutto per lui. Il valore aggiunto è chiaramente il come/cosa e il perché Basinski decide di architettare l’insieme. D’altronde viene da pensare che attraverso queste musiche lui ragioni con profonda intelligenza sul concetto di “consunzione”. Il pubblico ha perciò avuto la rara opportunità di veder oggettivato davanti ai propri occhi un pezzetto di abbacinante bellezza.

Infine mi preme sottolineare che un evento di questo tipo non poteva che essere apprezzato in uno spazio come il Superbudda, accogliente e riempito al punto giusto. Continuate così.

Grazie a Gabriele Daccardi per le belle foto.

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