WET SATIN, S/t
I Lumerians furono una delle formazioni più marginali del revival psichedelico degli anni Dieci, pur avendo tutti i numeri per farsi ricordare come una delle migliori band di quel periodo: Transmalinnia, l’esordio del 2011, non aveva niente da invidiare ai dischi dei vari Wooden Shjips, Black Angels o White Hills. Si dedicavano al lato più space della psichedelia e nel 2018 approdarono anche su Fuzz Club Records con Call Of The Void. Quell’album sarebbe stata l’ultima uscita long-playing del gruppo ed è proprio l’etichetta londinese ad annunciare che due membri dei Lumerians, Jason Miller e Marc Melzer, hanno concluso quell’esperienza, affrettandosi poi a pubblicare il primo debutto del loro nuovo progetto: i Wet Satin. Dimenticato lo space-rock, si sono riscoperti esploratori di un territorio vergine: il punto d’incontro tra l’exotica e l’elettronica kraut, da loro definito “Kosmische Tropicale”. Oddio, a ben vedere, mischiare world music ed elettronica proprio territorio vergine non è: tralasciando che i Wet Satin si inseriscono in un filone che propone l’eterno ritorno del kraut in chiave vintage (di cui abbiamo già parlato in abbondanza e di cui Fuzz Club è una delle principali promotrici), l’intuizione di utilizzare e campionare musiche del terzo mondo è roba che Monster Rally, Psychedelic Horseshit e Dirty Art Club facevano già dieci anni fa, per non parlare di artisti più sperimentali, come Bitchin’ Bajas, oppure dei fantastici MUTWAWA, che mettevano insieme world music e harsh-noise (aggiungiamo la psichedelia occulta italiana di Cannibal Movie, Donato Epiro, Heroin In Tahiti, Mai Mai Mai, Lay Llamas…). Insomma, una formula già vista. Perciò occorre entrare nel merito del disco per trovare dei punti di forza: quaranta minuti di elettronica sonnecchiosa e levigata, condita da tastierame e qualche bongo qua e là, voci campionate e una generale atmosfera da “discoteca nella giungla” davvero fuori tempo massimo. Rimane poco di questo esordio, se non la nostalgia per i Lumerians.