WEAR SUNGLASSES FOR APOCALYPSE, S/t
Nel lessico musicale l’espressione tappeto sonoro è utilizzata in alcuni casi come significato di comodo in assenza di riferimenti adeguati o idee chiare da parte di chi scrive, che sia la band o il giornalista di turno. Personalmente, invece, ho sempre fatto il parallelo col “tappeto che dava un tono all’ambiente” del film “Il Grande Lebowski”, il tema centrale su cui poggiare tutta la sceneggiatura.
Wear Sunglasses For Apocalypse arrivano da Torino e sono un power trio strumentale classico batteria-basso-chitarra “con una spruzzata di synth”, il cui tappeto sonoro è proprio la funzione principale e non un semplice corollario di comodo per poter descrivere in maniera semplicistica tutto il costrutto musicale del loro disco d’esordio. Dal nome della band fino al suo immaginario, incentrato sul bianco e nero, tutto è pensato e ideato per poter rappresentare quella sensazione di sospensione che anticipa uno stravolgimento nei confronti del quale si ha però un approccio totalmente distaccato, quasi strafottente. Le dinamiche dilatate di “Cloud Of Unknowing”, con dieci minuti di immersivo post-rock di derivazione new wave in apertura dell’ep, sono la cartina di tornasole (è il caso di dirlo) di un afflato costante lungo tutto il lavoro, che si snoda tra richiami doom e soluzioni al limite della Kosmische Musik impossibili da ignorare. Tutto è funzionale allo scopo, che si tratti del senso di angosciante benessere nei momenti di distacco ritmico di “Balance Being” oppure della successiva “Sepurkhov – 15 (To Petrov)”, una composizione lineare costruita per sonorizzare un evento storico della fine del Novecento, il cui epilogo sarebbe stato disastroso per il mondo intero se non fosse intervenuto il Petrov a cui dedicano il brano. Allo stesso modo, in “Huxley Has A Coffee With Us” o nella finale “…You Know Is Just An End” le citazioni rispecchiano esattamente il tenore dei brani, condizione che troviamo praticamente in tutto il lavoro. Siamo nel campo della musica cinematica, forse, o in quello più facilmente incasellabile del doom metal, i cui spigoli vengono però smussati dalla melanconia del post-rock. A essere certa, invece, è l’essenzialità di un esordio la cui capacità di coinvolgere è superiore all’età del progetto che lo ha registrato. E allora, stendiamoci su quel tappeto e mettiamo gli occhiali da sole, male che vada aspetteremo l’apocalisse con un sorriso sulle labbra.