VONNEUMANN, Sitcom Koan
Dopo circa due anni di silenzio, interrotto solamente dall’uscita di un brano in download gratuito nel dicembre 2014 (la prima puntata di una serie destinata agli iscritti alla loro mailing list), i romani Vonneumann tornano con un disco nuovo solo in parte, poiché si tratta della registrazione di un vecchio concerto, elaborata poi in studio con la sovraincisione di ulteriori tracce strumentali, soprattutto percussioni, chitarre e synth. Il risultato è intrigante e ben riuscito, e fonde in modo convincente quelle che da sempre sono le due anime del quartetto, ovverosia quella improvvisativa e quella più ragionata e compositiva, sempre nel rispetto di una vocazione sperimentale in un ambito che rimane sostanzialmente rock per linguaggio e strumentazione.
La base di partenza è invero ottima, resa ancora più appetibile dall’eccellente qualità della registrazione in presa diretta. Si tratta di un’improvvisazione eseguita dal vivo al club Riunione di Condominio (Roma) nel 2010, poco dopo l’uscita de Il Dè Metallo, “disco di improvvisazione radicale e ragionata” che rappresenta forse l’apice della loro produzione, e dunque la performance è decisamente influenzata dalle atmosfere di quel lavoro, tanto da riproporne un paio di tracce. Gli interventi di post-produzione si integrano in modo perfetto con il materiale originale fino a formare un unico corpo mutevole e cangiante, come nella traccia finale “Completene”, dove un campionamento degli applausi del pubblico viene utilizzato per accompagnare, alleggerendolo, l’episodio più rock di tutti.
L’improvvisazione dei Vonneumann, esemplificata dall’emozionante “Requiem Per Foroppo”, è fatta di trame chitarristiche sottili, di giustapposizioni e incastri, sempre mirati ad un approdo melodico, riconducibile in qualche modo alla forma canzone (per come la potevano intendere i Gastr Del Sol o i primissimi Ulan Bator). Su queste strutture s’innestano le elaborazioni ritmiche di “Giancarlo International”, dolente e intensa, la melassa rumorista di “DROH” e la sarabanda percussiva di “Io Rullantaro”, che trasforma un lungo assolo di tromba in una danza tribale ossessiva da rito sciamanico. La seconda parte del disco, quasi una lunga suite, ne è uno dei punti più alti: un germe melodico rivelato dal diradarsi dalle nebbie ambient rumoriste di “In Sette Lupi”, che si evolve per stratificazioni successive, veli chitarristici che lasciano intravedere senza svelare mai completamente, dove le scansioni ritmiche sono rarefatte come l’aria in alta montagna.
Una musica che scava nell’animo, quella dei Vonneumann, a fare da contraltare alla leggerezza e all’ironia che il quartetto rivela nelle chiacchiere tra un brano e l’altro, nella scelta dei titoli e nelle note di copertina, dimostrazione di come profondità non debba per forza fare rima con seriosità.