Volare dispari: intervista ai Dunaj
I Dunaj sono una leggenda della scena cecoslovacca degli anni Novanta. Hanno esordito nel 1988 con un album in collaborazione con Iva Bittová per poi fermarsi 8 anni e cinque dischi dopo. Ora si sono riformati e saranno all’Area Sismica sabato 23 per la loro unica data italiana. Con questa intervista li presentiamo al pubblico italiano, nel caso non li conosca già; questa lunga conversazione sarà anche, se vorrete, l’opportunità per scoprire nomi (e suoni) mai sentiti prima. Il fiume della musica scorre incessante, come il Danubio, del quale la band porta il nome. E contraddicendo Eraclito, forse potresti entrare due volte nello stesso fiume. Un flusso potente dove si incontrano pulsazioni dispari, ruggine rock, geometrie sghembe, un rigore selvatico, ombre di antico folklore ed ansie wave: qualcosa difficile da collocare, sottile e potente. Era necessario saperne di più.
Avete smesso di suonare nel 1998, quando è morto Jiri Kolsovsky (il cantante originario della band, ndr). Cosa è successo in tutti questi anni?
Josef Ostřanský: L’anno scorso, tutti gli ex membri del gruppo Dunaj si sono incontrati su una nave sul Danubio (Dunaj significa proprio Danubio, ndr). Era un’idea di David Butula, regista di un documentario sul gruppo: questo incontro sul fiume doveva chiudere il film. Abbiamo usato il tempo a bordo per le prove e il viaggio è terminato con un concerto a un festival nella città rumena di Banat. Provando, è nato un pezzo nuovo e con esso l’intenzione di riformare la band, con un nuovo assetto a tre, senza rimpiazzare Jiri. I Dunaj oggi hanno questa formazione:Vladimír Václavek, chitarra, basso, voce; Josef Ostřanský, chitarra e voce; Pavel Koudelka, batteria e voce.
Pavel Koudelka: Negli anni passati ognuno di noi ha intrapreso un percorso diverso ed abbiamo acquisito molte nuove esperienze che ora possono essere messe in gioco con la band.
Vladimír Václavek: La musica è il mio interesse principale e questo progetto occupa un posto fondamentale in questo amore.
Diteci qualcosa di questo è documentario a cui accennavate prima, “Dunaj vedomi” (La coscienza del Danubio, ndr).
JO: Il documentario è in fase di montaggio e post produzione ed è troppo presto per parlarne.
VV: Ci stiamo lavorando o meglio i cameramen e il regista David Butula lo stanno facendo: per me è interessante osservare la loro lingua e il loro approccio, perché diversi dal linguaggio musicale.
Sul sito collocate la vostra musica al confine tra jazz e rock matematico, vi dite ispirati dalle miniere e dall’industria chimica della Boemia settentrionale. Che tipo di musica vi coinvolge, da quali fonti prendete spunto?
JO: La nostra musica è più ispirata dal folklore moravo, dal rock e dalla musica contemporanea. Dominano ritmi strani e, come una roccia, i nostri pezzi sono permeati di motivi che vengono da questi luoghi musicali sedimentati dentro di noi.
PK: Sono ispirato da qualsiasi musica che sia sincera e sentita e che porti con sé una forte energia ed un messaggio.
VV: Per me sono due i leitmotiv principali: intuizione e concetto.
Da dove vengono le canzoni, secondo te?
JO: L’ispirazione è intorno a noi e la musica è la nostra lingua per la sua espressione. Credo che non facciamo altro che suonare il modo in cui viviamo. Per me, le canzoni sono come uccelli. Vengono volando dall’ignoto, cantano per noi e poi spariscono da qualche parte.
Perché questa scelta di usare metri dispari?
JO: È la nostra attitudine naturale nel percepire la pulsazione e nel suonare musica: un modo specifico di danzare che non può essere raggiunto attraverso ritmi pari.
PK: La questione più importante è che la musica scorra in modo uniforme. Quindi non importa cosa e come lo realizzi.
Cosa vedete guardando la finestra dal vostro salotto? Diteci qualcosa su com’è e com’era Brno.
JO: Brno era un crogiolo negli anni Ottanta. Molte persone interessate a una cultura specifica o all’underground in generale si incontrava qui. Più tardi alla fine degli anni Novanta la scena si è un po’ dissolta, ma ho l’impressione che si stia riavviando una dinamica positiva: ci sono molti nuovi caffè e luoghi in cui le persone si incontrano sempre di più per creare qualcosa insieme.
PK: Brno sta cambiando in meglio, molti eventi culturali di levatura internazionale stanno accadendo qui, è un posto amichevole, dove si vive bene.
VV: In questo momento sto guardando da una finestra su prati e montagne e sono un po’ infastidito da uno scarafaggio che non mi lascia dormire. Brno è il passato e bei ricordi.
Che musica state ascoltando in questo periodo?
JO: Raramente ascolto musica a casa. Mi piace andare ai concerti dei miei amici o li lascio suonare i loro dischi quando li vado a trovare.
PK: Io ascolto la musica di solito in macchina, mi piace tutto ciò che arriva dal cuore; c’è davvero tanta musica e fortunatamente è accessibile a tutti a differenza dei tempi della Cortina di Ferro.
VV: Ci sono molte cose che ascolto, mi interessa soprattutto tutto ciò che sta accadendo ora, ma c’è così tanto che non saprei cosa nominarti.
Il primo e l’ultimo disco che avete comprato?
JO: Il primo di Johny Cash.
PK Se intendi vinile, il primo disco solista di Sting, The Dream Of The Blue Turtles. Comprato in Jugoslavia. L’ultimo? Probabilmente Ghost In The Machine dei Police.
VV: Non ricordo, ma sicuramente uno dei primi e fondamentali è stato Paco de Lucía.
Com’è vivere in Boemia adesso e quanto è cambiato negli anni?
JO: Penso che stiamo molto bene in Repubblica Ceca. Sia economicamente che culturalmente. Lo stato di grigiore diffuso dell’era comunista è sparito per lasciare spazio ad un paese splendente. Sento che le persone si sono avvicinate l’una all’altra ed hanno più tempo da trascorrere insieme rispetto a quanto accadeva dopo la rivoluzione (il riferimento è alla cosiddetta rivoluzione di velluto, che avvenne tra novembre e dicembre del 1989, portando alla caduta del regime comunista cecoslovacco, ndr) quando l’egoismo aveva allontanato tutti.
VV: Sono d’accordo con Josef, anche se i tempi non sono affatto facili, ma questo non riguarda solo la nostra nazione.
Ti manca la Cecoslovacchia?
JO: Sicuramente sì. La separazione e la successiva unione dei paesi nell’Unione Europea sono solo mosse da gruppi di interesse.
PK :L’unica differenza che avverto è dovuta al fatto che in Slovacchia si usa l’euro. Penso ancora a Slovacchia e Repubblica Ceca ancora due nazioni sorelle e collegate, capisco lo slovacco e mi piacciono gli slovacchi. Per me è stato un peccato, sono cresciuto in uno stato comune, ma adesso non è così. La cosa fondamentale è che fortunatamente si è trattato di separazione pacifica.
Suonavate come Dunaj proprio in quegli anni in cui le cose sono cambiate brutalmente dalle vostre parti. Com’era allora suonare “alternative rock”?
JO: Credo che le nostre composizioni siano ancora attuali, i testi così come la musica. E, proprio come accade in gran parte dell’Europa occidentale, molte cose considerate un tempo alternative sono oggi accettate come nuovi standard.
PK: Credo che l’epoca di origine non sia importante nella musica che suoniamo. Ai concerti possiamo vedere giovani che entrano in connessione con la musica anche se non l’hanno mai ascoltata, il che è davvero un buon segno per me.
VV: Non c’è nulla di alternative in ciò che suoniamo. È pienamente ciò che siamo e ciò che sentiamo.
Cosa ricordate dai giorni della cortina di ferro?
JO: Non sono il tipo di persona che vorrebbe vivere nel passato. Penso che in quei giorni noi, da giovani appassionati, abbiamo fatto il meglio che potevamo per le nostre vite.
PK: Siamo stati uniti dalla resistenza comune contro il regime, ma i tempi erano davvero bui in confronto a come viviamo in questi giorni.
VV : Non è stato facile essere in quei tempi ma non è rimasta alcuna amarezza, ho solo bei ricordi.
Quali sono i vostri primi ricordi musicali?
JO: Come ho detto sopra, un disco di Johnny Cash. Sentendolo capii che volevo suonare la chitarra.
PK: Tornando ai tempi della scuola, sono stato probabilmente influenzato da “Rock and Roll” dei Led Zeppelin. Ogni volta che la ascoltavo, ero inondato da un’incredibile felicità. Era così diverso da tutti gli altri brani di tutti i gruppi possibili!
VV: Sin dalla mia infanzia ho percepito la musica come qualcosa di inesorabile e fortissimo più forte, perfino quando non ne sapevo nulla e non ne avevo criteri di giudizio: era come un’onda che mi ha preso e portato via.
Devo umilmente confessare la mia ignoranza, per essere onesti: l’unica cosa musicale che conosco della Repubblica Ceca sono Rale, Iva Bittová ed alcuni dischi solisti di Václavek (una anche con Ostransky) su Indies Records. Cosa ci siamo persi, cosa ci stiamo perdendo? Ricordo molti anni fa, nell’era pre-internet, che qualche notizia discografica arrivava attraverso le pagine del glorioso Megatalogo (un mailorder con sede in Liguria, dalle parti di La Spezia, se non ricordo male).
JO: Vi consiglio di ascoltare la violoncellista e compositrice di colonne sonore Dorota Barova (fresca vincitrice del Czech Music Award); il suo duo di cantanti e violoncelliste Tara Fuki (www.tarafuki.eu), il duo di folklore immaginario Dva e il quintetto Vertigo, che ha inciso anche con la Barova.
VV: C’è molto fermento nella scena musicale ceca, ma per me è difficile consigliare qualsiasi cosa perché me ne sto un po’ in disparte da parte e non lo so davvero. Quindi preferirei suggerire di leggere quanto scrive un giornalista musicale come Pavel Klusak.
E cosa sapete della scena musicale italiana?
JO: So che una grande batterista, Hilary Binder, si è trasferita in Italia (nello specifico in Abruzzo. Parliamo di una musicista americana di estrazione punk che ora suona nei Polemica e nel trio di improvvisazione Riot. Forse a qualcuno potrebbe dire di più il nome del mitico duo in cui ha militato a lungo, i Sabot, ricordo nitidamente un loro favoloso live all’XM24 una vita fa, ndr)
PK: Conosco la canzone “Tornerò” de I Santo California (roba da 11 milioni di visualizzazioni su youtube, un pezzo sul quale non so che dire, sinceramente, ndr). L’ho cantata ad a una gara canora quando ero a scuola. Mi piace anche il duetto “Cose della Vita” di Tina Turner e Eros Ramazzotti (! ndr).
VV: Sfortunatamente, non so nulla della musica italiana contemporanea, spero di allargare il mio orizzonte a Meldola grazie ai nostri amici dell’Area Sismica.
Avete fatto un disco con Iva Bittová (musicista extra-ordinaria, cantante e violinista, se non la conoscete, recuperatela assolutamente, ndr) nel 1989. Lei da molti anni è diventata una star.
JO: Iva è una grande persona e musicista, è incredibilmente talentuosa. Ci era chiaro fin dall’inizio che avrebbe avuto una carriera luminosa
Vladimir, penso che Bilé Inferno (disco del 1997 pubblicato Indies Records, con la partecipazione del mai troppo rimpianto Tom Cora, ndr) sia un capolavoro assoluto. Dimmi qualcosa su come sono state create quelle canzoni e ai giorni in cui eri in studio. Vi ho visti in concerto ad Area Sismica nel 2006, che mi dici del tuo rapporto con l’Italia?
VV: Amo l’Italia e la sua gente, la cultura e la bellezza della terra. Sono molto contento di poter fare ritorno lì coi Dunaj e spero che non sarà l’ultima volta.
Bile Inferno è una cosa che è semplicemente accaduta. Mi rendo conto di quanto sia unico, ma è semplicemente qualcosa che non si poteva pianificare. Penso a quel disco come ad uno dei regali che ho ricevuto dall’esistenza. Facevo il pendolare da Lelekovice in autobus, suonavo i miei motivi, Iva aveva le sue parti ed abbiamo scritto in modo molto naturale quel disco. Sono stati momenti così belli! Mi piace pensare alla mia collaborazione con Iva come un terreno solido da cui partire e volare. La cosa più bella della musica può essere la cooperazione, poiché tutti possono così volare. Sono convinto sia qualcosa di profondamente umano.
Altri progetti o gruppi stranieri che ammirate o con cui vi piacerebbe suonare?
JO: Young Gods.
PK: King Crimson, Kraftwerk, Peter Gabriel, John Cale, Björk, Robert Plant, Richard Bona e molti molti altri.
VV: Julian Lage.