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VITTORIO NISTRI / FILIPPO PANICHI, Nistri – Panichi

Un disco apparentemente facile, di pronta beva, il che ne costituisce un pregio indubbio: il lavoro del duo Nistri-Panichi rivela tuttavia una complessità che emerge ad un ascolto attento e dallo studio del corposo booklet che, oltre a contenere l’artwork di Beppe Stasi, illustra i dettagli di una produzione che tiene assieme composizione e improvvisazione, musica da camera e sperimentazione. Vittorio Nistri è tra i fondatori di Deadburger e Ossi, ha collaborato, fra gli altri con Maisie, Forbici Di Manitù e St.Ride, il suo è un approccio “rock” e seppure qui si voglia allontanare scientemente dalla propria comfort zone, si avverte ancora il legame con un certo modo di fare musica: a lui è demandato il grosso del lavoro di scrittura. Filippo Panichi, chitarrista ma anche altro, sperimentatore in solitaria, sembra rappresentare invece la componente improvvisativa del gioco; ai due si affiancano archi (Silvia Bolognesi, Giulia Nuti e Pietro Horvath) e fiati (Enrico Gabrielli ed Enrico Baldini) per nove tracce pubblicate da Snowdonia. Tenere insieme il tutto non è compito semplice e Filippo e Vittorio sembrano riuscire degnamente nel compito di unire un ensemble cameristico con elettronica (alcune bizzarrie come il synth sovietico Enner, che interagisce con il corpo dell’esecutore, o autocostruiti, come un rilevatore di ultrasuoni chiamato “Pipistrellator”, o un sistema di molle elettrificate), field recordings e campionamenti: il computer – ci tengono a sottolineare – è stato utilizzato solo in sede di registrazione. Il risultato, come dicevo in apertura, è godibile sotto molti aspetti, lontano dalle astrusità di certa sperimentazione come pure dalla banalità dell’intrattenimento. Se dovessi scegliere dei brani cui fare riferimento, punterei su quelli del lato tre del doppio vinile: “La Costante Elastica”, in cui ringhiere e molle si giustappongono al clarinetto basso di Gabrielli e ai synth. “Giulietta Sotto Spirito”, in cui Nino Rota incontra John Carpenter, e il finale di “Prove Tecniche Di Solitudine”, con il field recording ammantato di cinguettii sintetici e accompagnato da un pregevole lavoro di archi.