Vincent Moon, un cannibale tra i vegani
Submerge Festival (Cube Microplex, Bristol – 6 marzo 2019)
Chi altri poteva ospitare a Bristol un personaggio come Vincent Moon se non il Cube?
Da sempre luogo di cultura indipendente e molto sensibile alle tematiche e proposte artistico-sociali su religione, spiritualità e natura, il globetrotter francese è inserito nel clamoroso cartellone del Submerge Festival, che mi ha fatto prendere la prima settimana di ferie dell’anno perché conosco i tipi dell’organizzazione e so che hanno speso tre anni di duro lavoro per mettere in piedi questa invasione di proposte “out” che hanno coperto i primi due weekend di marzo in ogni area di Bristol (tranne dove vivo io, sul mare, perché dopo i Coil, i Deep Purple e i Throbbing Gristle qua ora è solo zona di cover-band, karaoke, spaccio di weed e ragazze dallo sguardo svuotato specialiste in orali a domicilio da 15 pound). Ho idee particolari sulle religioni in generale, e quindi me ne starò ben lontano dall’esprimerle. Faccio un lavoro che è il cavallo più vincente per arrivare al Paradiso ma francamente non me ne può fregare di meno del “dopo”. Vincent Moon ha appena passato cinque anni in Brasile dopo esserne rimasto folgorato dalla bellezza e dalla varietà di luoghi, razze e tradizioni popolari. Dovevo rimanerci pochi mesi, dice all’intervistatrice del Cube, Gabrielle Sedita, nella mezzoretta di chiacchierata che introduce al doppio show di Moon intitolato Sacred + S – A Music + Cinema Ritual, e invece… ho iniziato a filmare, a parlare con la gente del popolo, ad ascoltare la loro musica, e il tempo è volato via… il Brasile mi manca moltissimo. Il live che sta portando in giro per l’Europa ha un’appendice diversa nella tappa bristoliana, il Cube infatti è un luogo di cinema indipendente e di vera arte spesso spiazzante (come dimenticare l’esordio folgorante tra lirica e Industrial del 18enne John Bence? O la 15enne pianista RHAIN? O esperimenti tra visual e teatro come quelli della transgender Stampellie?), ha pure un’orgogliosa band propria che si chiama appunto Cube Orchestra, un ensemble molto aperto a seconda delle serate da sonorizzare. Tra il pubblico ovviamente ci sono molti studenti, proletari, artisti più o meno noti e di successo, laburisti in genere che fanno del “peace and love” la loro bandiera di vita. Non sono né vegano né vegetariano, ma sono sicuramente in larga minoranza, un buon 80% dei presenti fa sicuramente parte di quelli che vorrebbero carcerare il mio vicino di casa che ha strozzato con le proprie mani un gabbiano che gli aveva appena fregato delle patatine fritte da asporto da sotto il naso, tipico esempio di cronaca nera inglese… E cosa mi combina il buon Vincent? Ah, apro una parentesi, faccio una confessione qua a voi, in Brasile in questi anno ho conosciuto anche cannibali e ora sì, sono cannibale. Silenzio di tomba.
Un solo spettatore tenta con scarsi risultati di soffocare una risata di stupore, e non vi devo dire chi è. L’intervista continua per altri minuti e io mi gusto ancora i volti shockati della platea. Mi viene pure da chiedermi: la legge inglese permette l’ingresso nel proprio territorio di un mangiatore di carne umana? Per fortuna parole e pensieri lasciano presto spazio ai filmati e ai sample mixati sul momento. L’inizio non è dei migliori, con banali sovrapposizioni di immagini di natura tra acqua e monti, poi si viene risucchiati e risputati in vortici di primissimi piani di credenti in trance che durano minuti, lunghissimi minuti. È strana la cosa, ma in queste performance che accadono in case, saloni, boschi, fiumi, ci sono sempre… fiumi di alcool e droghe di ogni tipo… Un indigeno sui 50-60 si mette a tirare una cannetta sobria che pare un didgeridoo e dopo due minuti se non lo prende la moglie per le orecchie e lo fa sedere, questo si mette a recitare la Divina Commedia a memoria e tutte le 570 pagine del documento firmato dalla May sulla Brexit. Intanto Moon si dimena come un tarantolato nella sua postazione di fronte al maxischermo mentre fa cose veramente egregie a livello musicale. Si vede proprio che quelle cose così intense che stiamo vedendo lui invece le ha vissute in prima persona.
Finisce stremato il live e ci vogliono alcuni secondi prima che ritorni su questa dimensione. Alla magia bianca, nera e colorata in genere tendo a credere molto poco; la magia del Cube invece è pura e semplice realtà. Pochi minuti dopo l’ensemble di musicisti locali affronta spavalda la sonorizzazione di altro materiale video del “nostro caro ospite cannibale”, ma finisce che si fanno piuttosto del male, tra virtuosismi vocali poco centrati e schizzi di free-jazz di maniera. Poi, come sempre, tutti a cena tra di loro con l’artista della serata. Chissà le facce…