Viaggio tra le musiche altre scelte da Antonello Cresti
Il toscano Antonello Cresti, già autore di numerosi saggi musicali, penna di Rockerilla, amante e divulgatore della cultura anglosassone, nonché membro dei Nihil Project, torna con la versione focalizzata sull’Italia del precedente Solchi Sperimentali – Una Guida Alle Musiche Altre, nel quale indagava in giro per il mondo negli anfratti più nascosti delle “musiche altre”, appunto, con l’intento di tracciare un percorso eterogeneo, partendo “… dagli anni Sessanta a oggi”, ma su questo approfondiremo il discorso nell’intervista sotto.
Affondo
Sulla scorta dell’uscita precedente, Cresti ha ritenuto necessario porre la sua attenzione sui fenomeni più interessanti succedutisi nel nostro Paese, in un certo senso storicamente “a latere” (almeno per una parte dei media che si sono occupati di musica in passato) rispetto a tanta cultura musicale di area e lingua anglosassone(*). Emblematica è l’apertura con Le Stelle Di Mario Schifano, a sottolineare di quanto abbia contato il focoso contesto culturale dei Sessanta, in particolare nella Capitale, che aveva per assidui attori-frequentatori gente del calibro di Alvin Curran (Musica Elettronica Viva) e il nucleo attorno al Gruppo Di Improvvisazione Nuova Consonanza (intanto si sviluppavano il beat e le prime forme di “cantautorato consapevole” legate al Folkstudio, ma queste sono altre storie). Cresti, andando con coraggio a scavare pure in provincia, si mette di impegno per creare una mappa, il più onnicomprensiva possibile – anche il più personale possibile, va sottolineato – di tante realtà molto diverse tra loro, a volte interconnesse, un esempio per tutti i T.A.C. e il percorso solista di Simon Balestrazzi, e che negli anni magari hanno avuto poca risonanza, non dimenticando i tanti nomi dei quali pure da queste parti ci siamo occupati: Lino “Capra” Vaccina, Starfuckers, Walter Maioli, Gronge, Le Forbici Di Manitù…. In sostanza si concentra sulle propaggini più legate alla psichedelia e a quelle di matrice “progressiva” – i Settanta sono setacciati in maniera piuttosto oculata – non disdegnando di menzionare veri e propri outsider come Nascita Della Sfera, N.A.D.M.A., Riccardo Donnini, Francesco Currà, o Maurizio Bianchi ed Enrico Piva, arrivando a citare autori come Andrea Tich e Andrea Chimenti, accostati a cose direi antitetiche come Aborym e Ain Soph, passando in rassegna gli Ottanta e i Novanta (d’aiuto sono le numerose interviste, vero valore aggiunto della pubblicazione). Se vogliamo fare proprio le pulci, non dimenticando quanto specificato dall’autore stesso, il fatto cioè che non si può sapere e scrivere di tutto, si nota qualche mancanza che spero venga presto colmata in altra maniera, anche qui, di nomi molto diversi tra loro come i torinesi Franti, o Fausto Romitelli, gli Uzeda, il Great Complotto pordenonese… Cresti ha inoltre evitato di storicizzare fenomeni più recenti, ancora in divenire, come l’Italian Occult Psychedelia (ma sono della partita Cannibal Movie, Heroin In Tahiti, Al Doum & The Faryds e Metzengerstein). Per dire di quanto è complesso il nostro Paese, l’ideale sarebbe stato includere un viaggio nel brulicante mondo dell’elettronica (un nome per tutti, i Retina.it), mentre viene lambito il linguaggio del drone, dato che è inserito Fabio Orsi. Interessante la parte finale, con le testimonianze di chi si cela dietro etichette importanti come Amiata Records, Snowdonia, Minus Habens, ADN, Silentes, Die Schachtel, Materiali Sonori, Hic Sunt Leones e Black Widow. E pensate che queste sono solo alcune delle numerose che popolano l’underground italico, probabilmente fare un elenco ancora più esaustivo resta, e resterà sempre, impresa ardua.
Conclusioni
A conti fatti Solchi Sperimentali Italia riesce nel suo intento primario, quello cioè di costruire un ipotetico fil rouge che riesca a collegare al meglio tutta una serie di proposte che, lo affermo senza nessun timore di risultare presuntuoso, d’Oltralpe ci invidiano. Consigliato.
Per completare il tutto, abbiamo pensato di aggiungere le dichiarazioni che l’autore ha rilasciato lo scorso anno all’amico Loris Zecchin di Solar Ipse. Lo spunto è, come già accennato sopra, il libro precedente, che in pratica diventa necessaria introduzione all’ultima pubblicazione. Tutto torna, insomma. Buona lettura, e relativo ascolto.
Intervista ad Antonello Cresti
A cura di: Loris Zecchin
Mi piacerebbe cominciare con una domanda riguardante la pianificazione e lo sviluppo del libro, il classico quando-come-perché?
Antonello Cresti: “Solchi Sperimentali”, come ho raccontato nell’introduzione del libro, è il diretto risultato di una antica e folle passione per tutto ciò che musicalmente sfidi in qualche modo le convenzioni. Nella musica, come nel mondo delle idee, sono sempre stato affascinato da tutto ciò che si discosta dal già sentito, per un innato bisogno di radicalismo che mi caratterizza. Tuttora trovo infinitamente più stimolante qualcosa che mi metta alla prova, anziché una canzoncina radiofonica, anche perché oramai di pop o rock fatto bene ne sento poco in giro…
Avevi in mente un target di lettori? Lo stai scoprendo ora che il libro è uscito e lo stai promuovendo in giro? Quali sono le domande che ti rivolgono più frequentemente durante le presentazioni?
Più o meno so negli anni di aver creato un piccolo seguito di lettori affezionato a ciò che scrivo, ma devo dire che questa volta il bacino di destinatari si è ampliato di molto, ed è un bacino che mi emoziona e mi commuove per qualità intellettuale ed umana. Molti musicisti, tantissimi appassionati e tutti, per tornare a quanto dicevo prima, con una visione della vita non schematizzata… Le presentazioni che ho fatto per me sono quasi sempre state uno straordinario scambio di energie. Riguardo a ciò che mi chiedono, talvolta si tratta di opinioni sui singoli artisti o album, talvolta invece si sviluppa una riflessione più generale sull’ascolto e sull’essere alternativi oggi.
Solchi Sperimentali ci ricorda che la storia si riscrive di continuo, grazie (ma non solo) all’analisi del contesto allargato. Figure rimaste ai margini o non facilmente classificabili, opere in dialogo/confronto che hanno dato vita a una rete dinamica di configurazioni energetiche, l’autoproduzione attraverso cui sono passati molti di questi dischi…
A mio avviso sperimentare significa soprattutto abbattere le barriere tra generi, individuare nuovi spazi di espressione, inventarne di nuovi… Lo schematismo uccide la creatività, e la prima cosa che un ascoltatore/musicista sperimentale dovrebbe tener cara è la curiosità per tutto. Ho privilegiato artisti rimasti ai margini (ma non solo, per la verità…) non per spocchia, ma per spirito di servizio, perché volevo che ci fosse finalmente un libro che raccontasse certi lavori. Per lo stesso motivo ho cercato di allargare la prospettiva a tutte le cosiddette “scene minori”, senza fossilizzarmi sul mondo anglofono.
Ti confesso che durante la lettura del libro ho riassaporato quel sano entusiasmo per la navigazione senza confini incontrata in “La Musica Rock-Progressiva Europea” di Al Aprile e Luca Majer (nota per il lettore: il volume edito da Gammalibri nel 1980 è stato ristampato nel 2009 dai tipi di Calypso Edizioni ed è facilmente reperibile). Lungi da me azzardare un punto d’incontro tra il tuo e il loro lavoro, fosse solo per la distanza temporale di uscita-realizzazione dei due volumi, però l’effetto che mi ha fatto è molto simile sul piano emozionale… love is the law!
Il libro che tu citi è effettivamente stato tra i pochissimi riferimenti che ho tenuto di buon conto; apprezzo molto lo spirito di quel lavoro, la voglia di tracciare i confini di una musica che progressiva lo sia veramente, mentre mi distanzio da certe prese di posizione talebane che non mi appartengono… Personalmente se non amassi i Beatles, ad esempio, non avrei potuto proseguire nella mia opera di ricerca, nello spirito che ritengo giusto.
Riflettevo su quanto sia poco studiata/analizzata nel nostro paese la scena delle musiche altre francesi, con l’eccezione dei soli Magma… che filo rosso individueresti tra le loro eccellenze storiche come Théophile Gautier, lettrismo, Alfred Jarry, Arthur Rimbaud, Simone De Beauvoir, etc. e i viaggi espansi di Lard Free, Art Zoyd, Fille Qui Mousse e Red Noise?
Verissimo! E infatti alla scena francese ho dedicato davvero molte pagine, meritatissime a mio avviso… Ti confesso che diversi album da me recensiti li ho scoperti durante la stesura del libro, a dimostrazione del fatto che non si finisce mai di scoprire, ed alcune cose le ho trovate semplicemente fenomenali. Un nome su tutti? Archaia, direi. La cultura francese, come le altre culture europee, ha interessanti specificità; direi che in questo caso l’interesse per il surreale, l’eccentrico si sposa con una sorta di aristocratico distacco. Non è un caso che la Francia sia stata il paese meno interessato al rock…
Una figura imprescindibile per ogni viaggio nelle musiche sperimentali che si rispetti è quella di Steven Stapleton dei Nurse With Wound. Qual è, a tuo giudizio, lo stimolo più significativo apportato da quest’uomo al libero sviluppo della creatività?
Stapleton è stato il grande ispiratore di Solchi Sperimentali, per il semplice fatto che la sua leggendaria Nurse With Wound List ha scoperchiato per prima il vaso di Pandora delle mille avventure “eccentriche” della musica mondiale tra anni Settanta e Ottanta. Si trattava dunque di implementare la sua lista (che qualche pecca, invero, ce l’ha…), ma di proseguire con la medesima sensibilità!
Le etichette che al momento stanno facendo un ottimo lavoro di rivalutazione/riesumazione di dischi del passato?
Qualche anno fa ho seguito con grande interesse le ristampe di lavori della psichedelia e del folk inglese, scoprendo un mondo underground meraviglioso. Al momento non saprei dirti chi si sta distinguendo in questo ambito… Per le sperimentazioni però non posso non citare Die Schachtel.
(*) Curioso notare come da qualche anno oltre confine stiano sdoganando artisti di casa nostra, basti vedere ad esempio cosa hanno tirato fuori etichette inglesi come la Dead-Cert e la Finders Keepers (Alessandro Alessandroni, Daniela Casa, giusto per citarne alcuni…), ma già nei Novanta John Zorn aveva incominciato a far emergere la sua passione per Ennio Morricone e Nino Rota, non dimenticando più di recente Mike Patton coi Mondo Cane.