VESTA, Odyssey
Quando mi propongono l’ascolto di un gruppo strumentale sono sempre un po’ dubbioso. Non che io sia particolarmente attento alla qualità della prova vocale: le mie playlist sono infestate da band che si esibiscono in una vasta gamma di latrati e urla indistinte (perdonatemi, vi amo lo stesso). In generi come post-rock, post-metal, stoner e compagnia bella trovo però che il cantato sia una sorta di àncora di salvezza contro la naturale tendenza di chitarristi, bassisti e batteristi a perdersi in astratte processioni di loop. Con questo non voglio assolutamente dire che è impossibile tirar fuori roba coinvolgente quando nella formazione manca il tizio col microfono, anzi: le eccezioni ci sono e finiscono per risplendere ai miei occhi proprio perché considero l’impresa piuttosto insidiosa. I toscani Vesta ci sono riusciti alla grande con Odyssey, il loro secondo album, pubblicato dall’attivissima etichetta italiana Argonauta Records.
I titoli di questi otto brani suggerirebbero l’ennesima fuga dalla gravità terrestre e la perdita di ogni contatto con Houston, ma la band di Viareggio si mostra – fin dalla prima traccia “Elohim” – abile nel mantenere i piedi ben piantati a terra: i riff sono taglienti, gli arrangiamenti robusti e i distorsori sempre accesi. L’impetuosa sezione ritmica non lascia un attimo di respiro e sembra impegnata a contrastare la spinta centrifuga provocata dalle frequenti dilatazioni psichedeliche.
I riferimenti a gente come Russian Circles (“Breach”) e Tool (“Temple”) sono riconoscibili nelle dinamiche scomposte e nell’imponente lavoro del batterista Sandro Marchi e del nuovo bassista Lorenzo Iannazzone, tuttavia non mancano passaggi più rilassati impreziositi dalle atmosfere liquide in salsa Colour Haze e Motorpsycho (“Juno” e “Tumæ”) dipinte dalla chitarra di Giacomo Cerri.
L’obiettivo del gruppo va ben oltre l’esperienza puramente contemplativa: Odyssey ci racconta la pericolosa esplorazione di un Universo dove l’uomo è solo un accidente cosmico pronto per essere spazzato via. Il coraggio dimostrato nell’affrontare questo viaggio e nel misurarsi con alcuni mostri sacri è sufficiente a meritare tutto il mio apprezzamento, anche se non riesco a smettere di pensare che questi mezzi uniti al giusto tizio col microfono permetterebbero ai Vesta di ampliare ulteriormente gli orizzonti e varcare i confini del Sistema Solare.