Vent’anni di Mechanical Animals
Anche se sulle pagine di New Noise un disco di Marilyn Manson potrebbe stonare, ho deciso di scrivere due righe in l’occasione dei vent’anni di Mechanical Animals, visto che ha inciso il primo segno musicale nel mio cuore: ricordo benissimo quando mi tenevo da parte i soldi della merenda – ero alle medie – per poi comprarlo a fine mese. Da lì sarebbe iniziata la mia devozione alle sonorità più pesanti del rock.
Con Mechanical Animals Marilyn riuscì a utilizzare su scala mondiale le emittenti televisive in un momento storico in cui internet serviva ancora per scaricare foto porno. Indossava già i panni del falso predicatore americano quando in Europa arrivò sui telegiornali vestendo forma incarnata dell’Anticristo, ma la sua fama diventò ancora più capillare grazie a un noto fatto di cronaca nera: la strage della scuola di Columbine, che avvenne sette mesi dopo l’uscita del disco. Finalmente gli americani poterono rivolgere le loro accuse verso il capro espiatorio perfetto, verso colui chi aveva deviato le menti labili degli adolescenti a stelle e strisce; ma anche verso chi da sempre denunciava la questione delle armi a scuola (vedi “Lunchbox”) e chi è sempre stato estraneo sia alla Columbine School, sia agli ascolti degli assassini (se proprio vogliamo fare una caccia alle streghe). In un modo o nell’altro Manson, insomma, entrò in tutte le tv del mondo e quest’occasione lo rese, nel bene e nel male, l’ultima rock-star degli anni Novanta.
Abbandonato Trent Reznor come produttore, i Nine Inch Nails e i White Zombie come influenze principali e Alice Cooper come costumista, i nuovi modelli di Marilyn Manson diventano David Bowie, Grance Jones e Madonna: perfetti esempi telegenici di glamour grazie alla loro eredità cinematografica e fotografica ma, soprattutto, una nuova incarnazione androgina/asessuata/bisessuale.
Quella che con Antichrist Superstar era un’apocalittica visione del mondo religioso ora diventa, anche grazie ai videoclip, diventa una più ampia critica alla società contemporanea nel suo insieme: dal sistema americano repubblicano alla manipolazione dei mass-media, fino al finto mondo di plastica hollywoodiano. Cinema, televisione, fotografia; meglio se tutte e tre insieme e su quanta più larga scala si possa fare. E l’iconografia di Mechanical Animals non è affatto da trascurare proprio per questo motivo. L’ex-reverendo ci tiene a sfoggiare in copertina il suo corpo da alieno che cita “L’Uomo Che Cadde Sulla Terra” (foto censurata in Giappone non per il corpo dalla sessualità ambigua, ma perché Marilyn ha sei dita per mano) mentre il retro-copertina presenta il personaggio Omëga, la cui band sono i Mechanical Animals, dunque una seconda strizzata d’occhio a Bowie, questa volta richiamando Ziggy Stardust And The Spiders From Mars. Tanti sono i piccoli particolari nascosti in mezzo al libretto del cd, leggibili grazie alla plastica blu che filtra e oscura certe frasi o parole; alcuni si ricorderanno lo scarno sito promozionale legato all’album – uno dei primi collegamenti fra supporto fisico e internet – arricchito dai dipinti di Mr. Warner che andranno poi a ornare le copertine dei singoli. A condire il tutto ci sono i numeri 1, 5 e 15, che compaiono nelle varie scritte Mar1lyn Man5on, New Model n° 15; il 15 settembre data di uscita del disco, i 15 minutes of shame che scimmiottano i warholiani 15 minuti di celebrità…
Soprattutto, il filtro principale che sta in fondo a questo mix fra TV, internet, musica e fashion, sono le droghe, specie quelle sintetiche. Avevamo assaggiato la predilezione di Marilyn Manson per le sostanze psicotrope, soprattutto in Portrait Of An American Family, ma in Mechanical Animals sono le droghe di fine millennio a farla da padrone: cocaina, ecstasy, pasticche e eroina, non per sballarsi e divertirsi ma per auto-alienarsi in un grande, vuoto e bianco mondo (“Great Big White World”).
Chitarre rock su samples e drum-machine per suonare la malinconia di questo mondo in cui, ormai, siamo tutti prosciugati dai nostri colori. Con “The Dope Show” le sonorità si fanno più pompose e pop, grazie anche al videoclip del regista hip-hop/r’n’b Paul Hunter (Babyface, Janet Jackson, Busta Rhymes, Missy Elliott…), che sa perfettamente collocare questo prodotto nel mondo di MTV. La scenografia desertica richiama sia il già citato film di Roeg, sia la Montagna Sacra di Jodorowsky; Manson è glitterato, pieno di smalto e paillettes, in un amplesso di luccichii e ammiccamenti che danno colore alle fredde pulsazioni industrial-rock; stuzzica e provoca la telecamera affermando il messaggio dello star-system dell’industria dell’immagine: “ti amano quando sei su tutte le copertine, e quando non ci sei amano un altro”.
La title-track è una ballata fatta di synth spaziali e di chitarre post-grunge (Michael Beinhorn ha prodotto anche i Soundgarden e le Hole), mentre “The Speed Of Pain” affronta con dualità i gorgheggi, neri, della musica vecchia e soul insieme alle frasi in vocoder, bianche, della musica nuova e industrial. I testi parlano di tentativi di comunicare con delle entità meccaniche che, a loro volta, non riescono a esternare le loro emozioni; qualcuno si rende conto di essere solo un ragazzo che gioca al suicidio mentre sullo sfondo aleggiano l’abuso di droga, il cyberpunk di “Akira” e di “Ghost in the Shell”, e il fenomeno nascente di “Matrix” (“Rock Is Dead” è uno dei pezzi che si sentiranno nel film).
I ritmi si fanno più serrati con la techno-rock “Posthuman”, veloce e acida come i Prodigy di “Firestarter”, anticipatrice di “Starfuckers Inc.” dei Nine Inch Nails (brano che ricuce i rapporti, mantenendoli però ambigui, con Reznor, con lo stesso Manson a girarne il video). Anche il clip di “I Don’t Like The Drugs (But The Drugs Like Me)” è di stardustiana memoria e le movenze frivole e glamour di Manson spiccano fra le chitarre (ospiti gli assoli di Dave Navarro): il momento saliente e dissacrante è riferito ai cori gospel che invece di rivolgere i propri canti verso Dio lo rivolgono agli stupefacenti in un bell’ambiguo gioco fonetico fra “we’re feelin’ fine” e “we’re fillin’ fine”; inoltre le nere ugole blues cantano in ossimoro alla wasp-iana voce di Manson (nel senso originale dell’acronimo e non riferito a Blakie Lawless) quando afferma la nostra vita è normale e quando scopiamo facciamo la posizione del missionario; il nostro Dio è bianco e non perdona.
La professione di prostituta e arrampicatrice sociale è smaccatamente espressa nella dance-hard-rock “New Model n°15” e quando sentiremo disgustosamente scontato, politicamente corretto; sono il nuovo modello e non ho niente dentro di me; sono meglio a letto e nel sesso orale che al lavoro, riesco a succhiartelo e a sorridere; fedele, manipolabile, usa e getta, staremo muovendo le chiappe grazie al ritmo incalzante. Continueremo a sballottare anche con “User Friendly”, che unisce il contemporaneo stile mansoniano al synth-pop/new wave dei New Order, declamando uno dei manifesti delle recenti generazioni 2.0: usami quando vuoi avere un orgasmo, le relazioni sono noiose, usami come fossi una puttana. Non sono innamorato ma ti scoperò finché non arriverà qualcun altro di meglio… e pensare che questa deliziosa maleducazione, oggi come oggi, trova solo paralleli nell’hip-hop/r’n’b , il che costringe a rivedere la propria posizione su quale sia la musica del diavolo…
“Fundamentally Loathsome” spolvera un inedito Manson improvvisato a cantare quasi da solo, dal piano di Gacy e da fragili loop. Altre perle consistenti dell’album sono poste in chiusura con “Last Day On Earth”, altro stampo new-orderiano dai toni post-apocalittici in cui viene descritta l’umanità ormai ridotta ad un enorme modulo informatico dietro la finestra di un pianeta morente. Fiore all’occhiello l’ultima “Coma White”: corredata dallo splendido video di Samuel Beyer in cui Manson e la sua consorte di allora, Rose McGowan, vestono i panni di Kennedy e Onassis e mettono in scena lo spettacolo sacrilego di uno dei più grandi tabù americani, l’assassino di JFK. Sorprendente il climax del brano, che aumenta di strati fra chitarre distorte e acustiche; i synth prendono il controllo del primo piano mentre gli assoli scompaiono sullo sfondo, chiudendo il sipario su questo capolavoro, l’album più alieno e allo stesso tempo più pop dell’ex-reverendo. Colonna sonora e contratto di morte del consumismo e dell’umanità, ormai abbandonata in questo sintetico, freddo, materno, grande e bianco mondo.