VENTA PROTESIX, Sickening Digital Rainbows
Se sviluppi un orecchio per i suoni che sono musicali è come se sviluppassi il tuo ego. Inizi a rifiutare i suoni che non sono musicali e in quel modo ti tagli fuori da una gran quantità di esperienze (John Cage)
Come spesso accade quando si ha a che fare con musiche radicali, vale la pena di tornare a John Cage per venire a capo della situazione. La produzione di Italo Belladonna, che si fa chiamare Venta Protesix, nome significativamente privo di significato alcuno, è ostentatamente antimusicale, sgradevole fino ed oltre la soglia del fastidio. Rifacendosi alle parole del grande compositore americano, essa equivarrebbe a una vera e propria atrofizzazione dell’ego che riguarda tanto chi ascolta, annichilito e sopraffatto dal disagio, quanto e soprattutto chi tale sensazione genera, tant’è che la presenza dell’uomo sembra quasi scomparire dietro il frastuono ossessivo contenuto in Sickening Digital Rainbows come negli altri lavori del noiser salernitano, insinuando il dubbio che dietro Venta Protesix si nasconda un’entità robotica fuori controllo. Italo si dice contrario alla musica come forma di aggregazione e anche le sue rare esibizioni dal vivo, corredate talora da sangue e frattaglie, sono uno spettacolo di difficile fruizione, per la mole di frequenze difficilmente sostenibili. La “musica”, o a questo punto “non-musica”, di Venta Protesix, prodotta rigorosamente attraverso il computer, senza l’ausilio di pedali o strumenti musicali canonici, giustappone scariche di brutalità sonora a sfiancanti sequenze di bit. A tutto ciò fa da contraltare la cuteness della copertina (realizzata da un artista polacco della cui vera identità Italo stesso non è bene a conoscenza) che strizza l’occhio all’amato Giappone e a un estetica vaporwave che qui risulta quanto mai fuorviante: non è vapore quello che promana da Sickening Digital Rainbows, ma il sarin del santone Shōkō Asahara. Possiamo trovare analogie con altri ambiti sonori conosciuti, direi ovviamente i “classici” giapponesi quali Merzbow, Masonna, Cccc, la power electronics dei Whitehouse, ma anche con gli esponenti del “nostro” industrial più disturbante, come Maurizio Bianchi e Mauthausen Orchestra, il tutto tradotto in violenza digitale: ogni altro vago appiglio ad altre forme musicali, techno e IDM in primis, inserito in tale asfissia musicale diventa quasi una bolla d’ossigeno.
Proviamo ora a riflettere sul ruolo della musica nella nostra quotidianità: essa risulta oggi come qualcosa di sovrabbondante e sopravvalutato. Fateci caso, la musica adesso è dappertutto, al benzinaio, nel supermercato, dal tabaccaio, allo sportello bancomat, è un qualcosa la cui onnipresenza ha azzerato completamente il valore di un bene disponibile ovunque in quantità massicce e a costo zero. Oltre ad un necessario scadimento qualitativo, a ciò paradossalmente si accompagna l’eccessiva importanza che si attribuisce alle scelte musicali, tanto che ognuno si sente in dovere di esplicitare, condividere, sbandierare le proprie preferenze, come se la musica risultasse l’ultimo baluardo identitario. Le provocazioni di Italo a mio avviso vanno proprio in questa direzione, quella di un recupero consapevole di un gesto, quello dell’ascolto, che si è fatto distratto e pretestuoso, una sovrastruttura inutile la cui funzione si riduce a quella di creare identità, il più delle volte posticce, ed intrattenere.
Sickening Digital Rainbows è disponibile su cd, pubblicato dall’etichetta slovacca Urbsounds: consigliato ad orecchie coraggiose disposte a non precludersi alcuna esperienza sonora, a chi vuole spingere le proprie capacità d’ascolto oltre i limiti.