Venezia è Hardcore
14/5/2016 – Marghera (VE), Rivolta. Grazie a Sparta Photography, Riccardo Carraro e Silvia Patron per le immagini. C’erano due nostri redattori, Serena (autrice anche delle foto di Swamps e Grime) e Marco, che si sono divisi il lavoro: gli interventi in corsivo sono quelli di Marco.
Il Venezia Hardcore Fest è un festival indipendente che da quattro anni infiamma il capoluogo veneto nel mese di maggio. Partito per dare sostegno alle realtà musicali locali, si è man mano affermato diventando un vero e proprio appuntamento per gli amanti del genere, ospitando band del calibro di Vitamin X, Trash Talk e Dead Swans. Il merito di questo successo si deve ai ragazzi dei collettivi Trivel, Youth Of Today e Venezia Hardcore. Nati per dare supporto non solo all’ambiente musicale veneto, ma anche a tutte quelle realtà di autoproduzione che vivono il mondo del disegno, dei tatuaggi e dei negozi di musica, questi collettivi sono riusciti a creare una vera e propria realtà basata sulla cooperazione e la condivisione che, specie per quanto riguarda Trivel, opera tutto l’anno per diffondere la musica indipendente, organizzando concerti di band italiane e straniere e spingendo i gruppi, grazie a un’etichetta e a una capillare sponsorizzazione dei locals. Quello che emerge è, quindi, un vero e proprio spirito diy: dopo anni di buio in laguna ci si è uniti, dando vita a una scena composta da alcuni dei migliori gruppi della penisola (basti pensare a Zeit, Danny Trejo e Slander) e consolidando quella che è indubbiamente la migliore proposta musicale degli ultimi anni. In un periodo buio per l’underground italiano, che sembra essere diventato il nuovo capro espiatorio di giochi di potere che prevedono la chiusura forzata dei luoghi in cui questo genere musicale s’è sviluppato e sostenuto, la forza e la passione di questi ragazzi ci sta dimostrando come “If the kids are united then we will never be divided”.
Veniamo al festival. Anche quest’anno s’è svolto preso il Rivolta di Marghera, che è stato suddiviso in diverse aree: l’Hangar Room, dove sono state installate la Skate Ramp, sponsorizzata da Green Records, l’area merch delle band, delle distro e altri stand legati all’autoproduzione e all’alimentazione, come quello di Riots Not Diets – Vegan Recipes, nonché punti informativi di Essere Animali e Sea Shepherd.; l’Osteria Room, la stanza dedicata all’illustrazione, con autoproduzioni provenienti da tutta Italia; la Nite Park Room e l’Open Space Room, le due zone riservate ai concerti. La regola è rimasta la stessa: 20 minuti per tutte le band italiane, 30/35 minuti per le band in tour.
Le Band
Il pomeriggio parte subito veloce con i Beelzebeat. Ciò che all’inizio mi stupisce di loro, che si autodefiniscono “grindabilly”, è la presenza di un contrabbasso: riff veloci, growl e sonorità r’n’r si amalgamano, dando vita ad un sound unico ed estremamente divertente.
A seguire troviamo i vicentini Regarde. Qui le sonorità si fanno decisamente più espanse. Il quartetto propone infatti un punk-rock dai richiami emo sulla scia dei Get Up Kids. Impossibile non piangere. Il pomeriggio prosegue poi con il primo live all’open space: suonano i Knightzz, formazione veneta che si definisce “Raw Medievil Hardcore Punx”. E in effetti si contraddistinguono proprio per quelle sonorità old school che fanno scattare i primi stage diving della giornata. L’aria inizia a scaldarsi. Nella Nite Park Room sono già pronti gli A New Scar, un progetto hardcore punk che vede protagonisti alcuni membri di gruppi storici come Eu’s Arse, Upset Noise, Impact e Oath. Indicati per i più nostalgici. La prima parte del festival è tutta dedicata ai veneti. È infatti il momento di un’altra formazione locale, The Mild, che si distingue per un hardcore/grindcore netto e spietato. Left to Starve, loro esordio, è stato co-prodotto da numerose etichette straniere, come ad esempio l’americana Dullest Records. A questo punto troviamo sul palco i bolognesi Chains, straight-edge hardcore band con sonorità che ricordano le vecchie glorie della scena, come Bold o Youth Of Today. Quello che inizio a notare è la straordinaria organizzazione che c’è dietro al palco. Sono infatti numerosi i ragazzi coinvolti nella gestione della scaletta, che scorre esattamente come da programma, obbligando chi è interessato a tutti i live a spostarsi di continuo da una sala all’altra. Difficilmente mi era capitato di vedere in Italia una simile gestione dell’evento. È poi il momento degli Oltrezona, formazione veneziana attiva da oltre un decennio, che offre al pubblico un live violentissimo che spazia dal thrash metal all’hardcore: ritmiche veloci e breakdown seminali fanno di questi ragazzi dei degni eredi di band à la Poison The Well, ma con un tocco di Anthrax. Impossibile stare fermi. Primi stranieri in campo gli svedesi The Hammer. Il quartetto presenta un sound hardcore/crust vicino a quello dei Tragedy. In realtà, non mi entusiasmano più di tanto. Fuori inizia a piovere.
A questo punto riesco finalmente a vedere una della band che aspettavo di più, i Danny Trejo, veri e propri local heroes e tra gli organizzatori del festival (alcuni di loro erano infatti impegnati fino ad un momento prima a sistemare i palchi), ora protagonisti della scena con un live impressionante. Partono subito col “botto” (un’esplosione di coriandoli), e vogliono mettere subito le carte in tavola: la festa è qui e siamo tutti invitati a partecipare. Un’esecuzione ottima, sia dal punto di vista musicale, sia da quello della presenza scenica: dal palco fanno capolino dei materassini gonfiabili con scritto Danny Trejo, i musicisti si muovono e saltano coinvolgendo tutto il pubblico ed è impossibile non urlare con loro “drunk as fuck but we don’t forget Danny Trejo!”. Un’esibizione che ci dimostra ancora una volta la qualità della proposta musicale veneta, ricca e variegata come non lo era dalla metà degli anni Novanta, quando attorno a band come With Love si era creata una scena musicale unica.
È il momento delle sonorità più “emotional” del festival: tra un palco e l’altro si danno infatti il cambio i Minnie’s e i Riviera. Qualcuno dice “andiamo a piangere sotto il palco”. Del resto, fuori c’è il temporale e la pioggia nasconde le lacrime.
È di nuovo tempo di breakdown: all’open space fanno infatti il loro ingresso gli Ashes, hardcore dal Belgio. Il loro ultimo album No Compromise, riassume bene le sonorità della band: una storia di violent dancing, mosh, fratture e stage-diving. Il pubblico inizia davvero a essere numeroso. Nell’Hangar Room è in corso un contest di skate, ragazzi di tutte le età si sfidano a tempo di punk-rock da ore. Gli stand dedicati al ristoro – numerosi quelli vegan – offrono dell’ottimo cibo.
Adoro visceralmente tutto ciò che Marco Rapisarda ha fatto nel corso degli anni, dall’Amico Di Martucci agli Smart Cops. Inutile dire che ho amato da subito il suo nuovo gruppo, ovvero i Death Index, che – senz’aver ancora registrato nulla – ai tempi si era subito trovato un contratto con Deathwish, tramite la quale avrebbe dato alle stampe il proprio debutto, che apprezzo moltissimo. I Death Index suonano uno strano ibrido tra new wave, hardcore e punk. Si presentano alla voce con Carson Cox dei Merchandise, un frontman istrionico e dal timbro molto particolare, che mi ricorda Morrissey e Ian Curtis. Alla chitarra (mi dicono) c’è uno dei membri dei The Crocodiles, mentre alla batteria non c’è Vallo dei Soft Moon, ma il batterista degli Sgurd. Dal vivo sono semplicemente ammalianti, in grado di riproporre in maniera fedele le atmosfere che permeano il loro disco di debutto. Personalmente uno dei migliori concerti dell’intero festival. Subito dopo salgono sul palco dell’Open Space Room gli Sgurd, con Marco sempre alla chitarra, lo stesso batterista di prima, ma con un altro bassista e soprattutto con “the venezia hardcore godfather”, ovverosia Dudu. In neanche venti minuti ci sparano le loro bordate di hardcore old school figlio dei primissimi Agnostic Front (dei quali eseguono alcune cover, cantate a squarciagola dagli astanti, mentre attorno a me si scatena l’inferno). Dudu è in formissima, ride, scherza e si lascia andare a qualche battuta velenosa delle sue. Gli altri macinano come se non ci fosse un domani. Finissimi come sempre.
Nella Nite Park Room fanno il loro ingresso coloro i quali per me sono la rivelazione della giornata: gli Swamps da Springfield, che ha da poco hanno pubblicato l’album Mentally Imprisoned per Power Trip Records (per me, una delle migliori uscite di questo 2016). Se la scena hardcore americana è da qualche anno a questa parte abbastanza stagnante, gli Swamps riescono a proporre un sound graffiante e particolare, merito soprattutto della voce sgraziata di Andy, che passa dal più tradizionale beatdown oldschool a urla rabbiose. I brani proposti sono inni di caos e disordine, avvolti in una quantità inspiegabile di furia e di energia allo stato puro, come dimostra l’incessante movimento sul palco che avvolge i membri della band.
Il fatto che fosse la terza volta in tre giorni che mi gustavo i francesi Harm Done dal vivo, la dice lunga su quanto io li ami. Tra le loro fila troviamo Alexis (voce), cioè colui che gestisce l’etichetta/distribuzione Straight & Alert, che a mio modesto parere è una delle migliori in campo europeo in questo momento. Gli Harm Done suonano un blackened hardcore infarcito di grind e crust, che me li fa accostare a band come i Nails. Inutile dire che l’impatto sonoro è devastazione pura. Salgono sul palco e danno vita a una vera e propria tempesta. Alexis si muove come un indemoniato e non si risparmia di certo, aggiungendo ancora più fisicità a questo vero e proprio rito. La band suona in maniera molto precisa e sembra assecondare il cantante in tutto e per tutto. I ragazzi sotto al palco reagiscono bene, e c’è un bel po’ di movimento, culminato nell’ultimo pezzo, ovverosia “Boiling Point” degli SSD. Inutile dire che a fine set avevo stampato in faccia un bel sorrisone a quarantacinque denti.
È giunto il momento dei triestini Grime, le cui sonorità sludge si distinguono nettamente dalla proposta musicale del festival, lasciando spazio a tinte scure che lentamente avvolgono la Nite Park Room. Il suono è massiccio, potente, anche grazie all’aggiunta di un secondo chittarrista, che va ad arricchire quanto di particolare li contraddistingueva già dall’uscita di Deteriorate. Il quartetto propone quindi brani dall’ultimo acclamato Circle Of Molesters, prodotto dalla etichetta italo-olandese Argento Records, e che li ha già portati in tour con mostri sacri quali Today Is The Day e Converge. Ciò che caratterizza la band è un sound distruttivo e allo stesso tempo ipnotico, che spinge l’ascoltatore ad addentrarsi nel proprio inferno privato, trascinato dalla loro potenza massiva e invasiva nel corso di una setlist serrata.
Gli Upset Noise sono uno dei miei gruppi preferiti e ho divorato letteralmente i loro dischi. Ho potuto vederli dal vivo in un paio di occasioni e non mi hanno mai deluso. Anche questa volta promossi a pieni voti. Si vede che giocano praticamente in casa, infatti mentre stanno sistemando il palco, c’è già una buona affluenza di pubblico. Quando partono in quarta con “Weekend Massacre” il posto esplode ed è un turbinio di mosh, stage diving e sing along. Suonano molto affiatati e l’aver preso alla seconda chitarra Mark degli Eu’s Arse (grande agitatore in ambito speed rock and roll con Tytus e con l’etichetta Kornalcielo) ha fatto lievitare di molto la qualità complessiva dell’esecuzione. Ora possiamo gustarci tutti quei dettagli che hanno reso storica la band di Trieste. Lucio è davvero ispirato e si vede che si sta divertendo un mondo. Il climax lo si raggiunge con i due cavalli di battaglia: “Hardcore”, vero e proprio inno e la meravigliosa “Growing Pains”, di cui fecero una cover (e fu inserita come pezzo d’apertura del loro album Underdog del 1990) gli storici Jingo De Lunch, a coronamento di un’amicizia divisa tra bevute e tour in Europa in quegli anni. Un grande live, suggellato dalla consueta prova maiuscola di uno Stefano Bonanni che dietro le pelli non è secondo a nessuno.
La serata entra dunque nel vivo, riportandosi su sonorità più prettamente hardcore con i Gone To Waste da Dortmund e coi Face Your Enemy, band “pizza style” di Caserta che infiamma l’Open Space Room con un live che propone alcuni dei loro pazzi più famosi, come ad esempio “Italian Stallions”.
Negli ultimi anni l’Inghilterra ha prodotto la scena straight edge più grossa e coi migliori gruppi. Io stesso mi do molto da fare per cercare di ascoltarli tutti e di comprare quanti più vinili posso, perché la qualità è davvero molto alta. Stasera al Venezia Hardcore suonano due delle sue migliori espressioni: Violent Reaction e Arms Race. Seguendo la formula già vista in precedenza con Death Index e Sgurd, salagono sul palco gli Arms Race, che con i Violent Reaction condividono il cantante (che in questi ultimi suona la batteria). Il loro hardcore stradaiolo e dalle molteplici influenze oi! è ben recepito, infatti suona molto potente e coinvolgente. Mentre la band è piuttosto statica, il singer Nicholas Sarnella (che tradisce evidenti origini italiane) non si dà pace, rendendo la proposta degli inglesi ancora più granitica. A sorpresa scatta la cover dei Nabat “Potere Nelle Strade” e si scatena il putiferio. Tempo di un veloce cambio e salgono on stage i Violent Reaction. Qui il suono si fa hardcore puro, il tutto ammantato dal sacro verbo dello straight edge. La band suona in maniera perfetta, rovesciando su ragazzi e ragazze accorsi una violenza (come esplica perfettamente il loro nome) abnorme, che spazza via tutto. A suggello una cover degli Agnostic Front, il cui repertorio stasera è davvero saccheggiato.
A questo punto si alternano due tra le band più amate della scena italiana: Storm{O} e Raein. Conosco i primi da molti anni, è stato bello vederli crescere, cambiare, creare un proprio stile e una propria particolare sonorità che ha fatto sì che, negli ultimi anni, siano diventati una delle realtà più apprezzate in Italia e all’estero. Il calore del pubblico dimostra proprio come la loro tenacia nel rimanere fedeli a se stessi li abbia premiati. Lo stesso discorso vale per i Raein, ormai vera e propria leggendar che ha saputo imporsi internazionalmente grazie a un percorso che dura da ormai un ventennio. Il live propone quindi i loro brani più famosi, concludendo con quello che è diventato un brano simbolo dello screamo, “Tigersuit”, accompagnato da una sequenza interminabile di stage-diving.
La serata sta quasi volgendo al termine. Camminando per l’Hangar Room mi rendo conto di come il Venezia Hardcore non sia solo un festival musicale, piuttosto una dichiarazione d’intenti: esaltare quello spirito hardcore che si sta lentamente perdendo, supportare e appoggiare le realtà più piccole, sostenere idee e ideali. Un intento che si sta rapidamente espandendo ad altre realtà locali, come ad esempio l’esperienza di Turin is not Dead, collettivo torinese che in meno di dodici mesi ha messo in piedi più di 14 serate, sostenendo e supportando i gruppi della provincia. Mentre mi guardo attorno mi rendo conto di come questo evento mi abbia permesso di rivedere persone che non incontravo da sei-sette anni, incontrarne altre nuove, scoprire, imparare.
È tempo del live più atteso della giornata: i Dead Swans sono sul palco dell’Open Space Room. Il quintetto di Brighton è stato considerato per lungo tempo una delle band in grado di risollevare le sorti dell’hardcore d’Oltremanica. Il merito è stato del bellissimo disco di esordio Sleepwalkers, che viene quasi interamente riproposto durante un live compatto, furioso, dalle ritmiche serrate, che ripropone alcuni dei loro pezzi più riusciti, come la bellissima “Ivy Archway”. Emergono la forte passione che impregna ogni brano e un’unione e un affiatamento inimitabili tra i membri del gruppo, che ci regalano così uno degli show più emozionanti di questa giornata.
Stanchi ma felici, giungiamo al piatto forte della serata, i romani Colonna Infame, che nel corso degli anni sono diventati una vera e propria cult band, anche per via dei del fatto che non suonano spessissimo in giro. C’è una grande attesa, ci sono punk e qualche skin, più gli irriducibili hardcorer. Noto comunque che c’è una certa differenza con il pubblico dei precedenti concerti. Comunque, differenze o no, i Colonna Infame sono sempre i Colonna Infame. Capitanati da un Paolo Petralia veramente sul pezzo e da un Damiano che ormai è una vera e propria icona, i nostri saccheggiano la loro discografia, fatta quasi interamente di inni per frantumarsi la gola. “Nessuna Pietà”, “Punk È Moda”, “Ferro e Fuoco”, “Tu Non Sei Dalla Mia Parte”, tutti estratti da quel disco di esordio del 1996 che mandò in brodo di giuggiole mezza Italia oi!/punk/hardcore. “Non Ti Arrendi Mai” tratto dallo split con i leggendari Nabat, “Odio” tratta dallo split con i Duap e tanti altri pezzi, tra cui la cover di “Potere Nelle Strade” dei Nabat. L’insieme contornato da gente sul palco, cori ed in generale tutto quello che puoi aspettarti da un concerto dei Colonna Infame. Da lacrime.
I live sono finiti, le centinaia di persone provenienti da tutta Italia iniziano a salutarsi, abbracciarsi. Qualcuno va a ballare la dance nella Nite Park Room, aspettando che si faccia giorno per prendere i mezzi per tornare a casa. Non rimane solo che ringraziare i ragazzi che si sono impegnati per realizzare questo festival, impeccabile in tutto. E attendere il prossimo anno, per essere ancora lì, al Venezia Hardcore Fest.