VAURA, Sables
Sei anni fa consideravo il supergruppo Vaura* un tentativo intelligente di tirare una linea che congiungesse Cure e Krallice (datemela per buona). Puntavo moltissimo su di loro, per capirci: aspettavo il disco definitivo. Li rincontro oggi e mi trovo davanti un gruppo soft prog che ha ascoltato Disintegration e che alla voce ha chiamato David Sylvian. Qualcuno, tra l’altro, potrebbe trovare l’immagine affascinante, e non sarò certo io a provare a dissuaderlo: non bisogna mai dimenticarsi che questo non è il tribunale del gusto, ma un gruppo di amici che prova a passare ad altri amici qualche buon disco (e non un bidone), magari sbagliando. Certo però che è un peccato mollare un’idea non più nuovissima, ma ancora sviluppabile (post-punk vs black metal), e cedere alla tentazione (forte, vista la line-up) di guardarsi per l’ennesima volta allo specchio, compiacendosi del proprio bel vestito, ma dimenticando di mordere. A produrre il disco, tra l’altro, c’è qualcuno che ha lavorato ad alto livello con Scott Walker e Peter Gabriel, e finisce che i suoni – ma forse qui parlo col risentimento dell’innamorato tradito – ti sembrano pensati per Toto, Survivor o Journey, non si sa bene perché. E non so nemmeno da che esempi partire per spiegarmi: forse “No Guardians”, per quanto è pomposo, forse il lento “Eidolon”, il pezzo più vicino ai Berlin che ho ascoltato nel 2019. Ritmi troppo blandi, solismi di chitarra ovunque, melodie stucchevoli, poco buio, poco impatto. In questo momento, purtroppo, associo ai Vaura solo un grande punto di domanda.
* Josh Strawn (Azar Swan) a voce, chitarra e synth, Kevin Hufnagel (Gorguts, Dysrhythmia) alla chitarra, Toby Driver (Kayo Dot) al basso, Charlie Schmid (Tombs) a batteria ed elettronica.