Vasi Comuni Canti
Teatro Petrella, Longiano (FC), 1° febbraio 2019.
Metto subito il carico da undici sul tavolo: personalmente credo che un musicista come Vincenzo Vasi non abbia nulla da invidiare a un Mike Patton (con cui ha collaborato in Mondo Cane), anzi. Cantante poliedrico, demoniaco e comico, grottesco e lirico, capace di strappare dalle viscere una risata liberatoria mentre è impegnato in virtuosismi acrobatici, il romagnolo si espone con questo progetto in primissima persona, riunendo un quintetto ad eseguire sue composizioni il focus è sulla canzone. Ecco allora il gioco di parole, Vasi Comuni Canti: un repertorio cantabile ma non di canzonette; sono invece forme aperte dove mondi in apparenza lontani collidono e si sovrappongono, a creare un ibrido di difficile definizione. In primo piano c’è la voce dell’autore, che imbraccia anche il basso ed è in grado di passare con disinvoltura dal mimare un cartone animato – il bambino di Roger Rabbit – a impersonare un muezzin, dal cantare melodie ripide e delicate al bofonchiare come una creatura frutto di una indicibile febbre creativa.
A questo giro Vasi adopera poco il theremin e ha come di consueto un bel tavolo apparecchiato con una serie di giocattoli sonori. Con lui ci sono Enrico Terragnoli, chitarra elettrica e synth appoggiato alle ginocchia (anche con Gabriele Mitelli in O.N.G, disco dell’anno del 2017), Giorgio Pacorig a pianoforte, Rhodes e Moog (Mahakaruna Quartet, Maistah Aphrica, il duo con Giancarlo Schiaffini, oltre al duo Per Favore Sing, un’ipotesi fulminante e fulminata di rivisitazione della canzone italiana commissionata dal festival Angelica, con lo stesso Vasi), Gaetano Alfonsi alla batteria (anche con Andrea Laino & The Broken Seeds) e Salvatore Lauriola a basso e synth. Si sente che la band è all’esordio e ha bisogno di oliare qualche meccanismo, ma il concerto, molto divertente, è la plastica dimostrazione che questo è un autore con orecchie spalancate, curiosità onnivora, background eclettico, ascolti di ogni tipo e una felice vena di follia spaziale che rende il tutto piacevolmente sghembo e ironico, con un che di zappiano.
L’iniziale “Skeleton Dance” è una sorta di tentativo di pop elettronico weird: vengono in mente le ambientazioni dei fumetti di Francesca Ghermandi, come “Grenuord”, “Pastil” o “Cronache dalla Palude” (chissà che i due non si conoscano) e Vasi sfodera anche un fantastico flauto da naso, per darci il benvenuto in quasto zibaldone, in questo bestiario di esseri appena immaginabili, in queste cronache dagli universi paralleli. Tanto per restare in alto, “Dei Senza Casa” è il paradigma perfetto dell’immaginario del leader: “Saccopelisti dello spazio, dove avete nascosto la vostra gloria? Siete dei senza casa e ci avete abbandonato senza memoria”. Se “Hypno” – tratta da un disco precedente – è un lungo e balsamico sviaggione concentrico come da titolo, “La Mosca” invece è un prototipo jazz funk come degli Steely Dan finalmente incattiviti, mentre “Negato” riporta a galla memorie mai sopite di discese a rotta di collo lungo autostrade di rock in opposition, seguendo le indicazioni verso gli Henry Cow. Lounge marziana, trance-western-kraut, paradossi, improvvisazioni, pop patafisico, carillon di infanzia: “Bimbo” (titolo-manifesto ), nel bis, chiude il sipario con un psichedelia che sa di biberon intinto nell’acido, dentro un languido ritmo in 7/8.
Prossimamente usciranno il disco di questa band e anche il secondo di OoopopoiooO (un nome che è tutto un programma, vero? Recuperate il loro esordio omonimo del 2015, prodotto dalla TremoloA di Alessandro Asso Stefana), il duo che Vasi ha con Valeria Sturba (violino, theremin, giocattoli, voce). Ci torneremo sopra con un’intervista.