VALERIO TRICOLI, 9/2/2019
Brescia, Spettro. Foto di Gloria Pasotti.
Spettro è un’associazione culturale che convive a Brescia con uno studio di architettura, non molto lontano dalla stazione ferroviaria. Vicino alla sua sede ci sono una manifattura, la cui specialità sono le decorazioni su vetro, e altre aziende che si occupano sostanzialmente di tipografia, oltre che qualche abitazione. Si entra da via Arnaldo Soldini (pittore bresciano del diciannovesimo secolo) in una zona privata chiusa, in parte ben tenuta, in parte segnata dal tempo, e non troppo illuminata la sera, il che dà al tutto un po’ di aura underground. Quando si arriva in fondo a questo complesso si trova la porta di Spettro, che per sala concerti ha una sorta di corridoio (a un capo c’è il bar, all’altro c’è il palco) largo all’incirca come un vagone di treno e lungo forse quasi due, se devo dare un’idea. Una classica situazione DIY, con uno staff ridotto, giovane e molto motivato (hanno aperto a dicembre, ci sono tantissimi progetti, coraggio ed energia), che vuole portare in città un po’ di musica disallineata, “sperimentale” scriverebbe qualcuno: l’aggettivo è molto pericoloso ed è spesso un boomerang, ma questa sera è adattissimo per Valerio Tricoli, artista eccezionale che non avevo mai visto dal vivo, una mancanza che – oltre alla mia curiosità nei confronti di tutte le iniziative dal basso – mi ha convinto a farmi tre ore e mezzo di macchina.
Di e con Tricoli, nato a Palermo nel 1977 e oggi – credo – di stanza a Monaco (dopo un periodo a Berlino), abbiamo già parlato in un lungo pezzo. Questa sera è giù dal palco, tra quattro speaker, di fronte al suo Revox modificato: la macchina è – come sua natura – aperta, il nastro non ha bobine su cui girare, ma passa per un’asta separata e posta a una manciata di centimetri di distanza, accelerando e rallentando a seconda della volontà di Tricoli, che a volte lo blocca anche a mani nude o lo “sabota” con una striscia di cartone; collegato a questo storico registratore è anche un cdj che contiene un disco-sorgente, il cui suono viene poi alterato secondo tecniche più o meno ortodosse. Il Revox B77, se ne è discusso anche con Pateras (che con Tricoli forma gli Astral Colonels), avvicina il musicista a un negromante, quindi stasera siamo nel posto giusto: anche se teoricamente l’analogico ha sempre più “calore”, alla fin fine sembra che Tricoli riesca a mettersi in contatto con l’Aldilà, perché i suoni e le voci, una volta catturati dal suo nastro magnetico, prendono un non so che di fantasmatico, giungono da lontano, svaniscono come se non avessero sufficiente energia per manifestarsi in modo definitivo davanti a noi, il che lascia sia sconfortati, sia impauriti. Tutto questo è palese ascoltando i dischi, ma se non si vede quest’uomo magro e spigoloso dal vivo, allora non si capiscono la sua fatica, la tensione, i momenti di indeterminatezza, il suo trasformarsi in chirurgo che opera un paziente. Mi sono venuti in mente i turntablist: togli il Revox, metti dei giradischi e subito ti viene in mente Philip Jeck, ma anche a figure meno conosciute come Christoph Hess (aka Strotter Inst.), che utilizza sempre i giradischi come fonte della propria musica, non però sfruttando il contenuto dei vinili, bensì il suono del supporto e del riproduttore in quanto oggetti, trasformando un suo live in qualcosa di interessante anche a livello visivo, esattamente come un concerto di Valerio comporta l’inclusione nello spettacolo dei click delle varie levette del Revox e offre alla vista uno strumento-frankenstein più un arcipelago di oggetti che non diresti .
Gli effetti di questa musica sono psichedelici: il tutto, bis compreso, dev’essere durato tre quarti d’ora, ma all’uscita non mi sarei sorpreso se fosse stata già mattina o se fosse stato Saturno.
Stasera era tutto organizzato e scelto bene, forza Spettro! Tesseratevi e sostenete l’associazione.