VADER, Solitude In Madness
Fossi giovane, comincerei questa recensione con “ciaone!”, ma giovane non sono, e mi limito a inchinarmi ai Vader e al loro nuovo album, con la testa sotto i loro piedi. E si possono anche muovere. E io zitto sotto.
Ok, forse il loro primo clamoroso disco è arrivato un paio di anni troppo tardi: nel 1992 il pantheon del death metal era già piuttosto affollato e questo ha forse impedito che i nostri acquisissero quell’aura mitica che tutt’ora posseggono i Morbid Angel o gli Entombed.
Non dimentichiamoci, però, che i Vader sono polacchi, quindi non esattamente il popolo che nel 1989 aveva tutto a portata di mano. E non dimentichiamoci che i Vader suonano dal 1983, sebbene in chiave speed/thrash agli inizi. E non dimentichiamoci, poi non lo dico più, che i Vader non hanno mai gettato la spugna neanche per un secondo e mai hanno ceduto a contaminazioni di sorta. Quante band possono vantare questa continuità? Immolation, Incantation, Unleashed, Cannibal Corpse e…?
Tanti altri illustri gruppi si sono sciolti, riformati dopo lunghe pause, fatto clamorosi passi falsi discografici, oppure hanno cambiato genere. I Vader, e Piotr Wiwczrewk nella fattispecie, no! Ed eccoli qua col sedicesimo (!) disco.
Come già detto, nella storia del gruppo non ci sono mai stati grossi sussulti stilistici, però da Welcome To The Morbid Reich (del 2011) in poi è avvenuto una sorta di ritorno all’ordine con un’estetica molto più affine alla prima pubblicazione (vecchio logo compreso), forse cercando di non perdere l’affollato treno della recente nostalgia death metal. Nulla di imperdonabile data la loro storia musicale, non è che prima avessero virato sul funky.
Questo nuovo lavoro mantiene la solita linea, e di puro death metal in stile Vader si tratta. Velocissimo, dinamico, senza fronzoli (11 pezzi in meno di mezz’ora) e senza tonnellate di riverbero.
I suoni potrebbero far alzare un sopracciglio ai nostalgici di cui sopra, ma nella mia personale soglia di tolleranza li trovo azzeccati: non sono quelli di un demo del 1989, sono moderni e dinamici ma ancora sufficientemente naturali. Si sente ben di peggio in quanto a produzioni di “plastica”. Il disco è talmente essenziale e conciso che viene voglia di ascoltarlo a ripetizione e non è cosa da poco in un’era così affollata di uscite. Da notare la presenza di una cover degli Acid Drinkers, colleghi polacchi altrettanto veterani della scena thrash, che di dischi in studio ne hanno ben 17. Bella gara in famiglia.
Ad ogni modo, mastodontici Vader!