Uzeda: dedicated to those who struggle to conserve the right to be themselves
È difficile non ammettere che la band catanese, col suo percorso, resti una delle più belle realtà dell’underground italiano. Il quartetto composto da Giovanna Cacciola (voce), Agostino Tilotta (chitarre), Raffaele Gulisano (basso) e Davide Oliveri (batteria) ha pubblicato pochi album e suonato tanto in giro per il mondo in trent’anni di attività: l’esordio, Out Of Colours, risale al 1991. Col passare del tempo i quattro hanno mantenuto una linea di comportamento coerente con quanto espresso sui dischi, gestito booking e un’etichetta, la Indigena, promosso altre band e organizzato concerti nella loro Catania (ne parliamo in sede d’intervista), sia in passato (leggendario resta quello dei Fugazi), sia poco tempo fa, vedi la reunion degli amici June Of 44. Quando si fa il loro nome viene subito da pensare al cosiddetto “post-rock”, ma faremmo loro un torto se li inserissimo solo in quel filone. Più correttamente, forse, si può parlare di noise rock, che gli Uzeda hanno sviluppato al meglio delle loro possibilità. La scusa di questa chiacchierata è l’uscita, a ben tredici anni di distanza dal precedente Stella, di Quocumque Jeceris Stabit, al solito granitica e ispirata, e registrata dal fido Steve Albini. Anche se il tempo passa per tutti, gli Uzeda sono sempre fieri della musica che ci propongono, e dalle sue risposte Giovanna Cacciola lascia trapelare una grande sicurezza, unita alla propensione ad andare dritta al sodo, senza farsi troppe paranoie.
Nazim Comunale: Rosa Balistreri, Modugno che fa il siciliano, Vitti Na Crozza: l’immaginario musicale classico della Sicilia, magari cartolinesco, è questo. Come accade che a Catania invece si comincia a fare del noise rock? Ci racconti i vostri inizi, quali sono stati i vostri fari, le motivazioni, i ricordi di quando tutto è cominciato? Com’è accaduto poi che siete diventati una band da esportazione? Ed il contatto con Steve Albini come nacque?
Giovanna Cacciola: Gli stereotipi sono immagini fisse, credenze statiche, luoghi comuni, caricature, visioni parziali superficiali. Rappresentare la Sicilia non è così facile, perché è un caleidoscopio di Storia e di storie che si incrociano e sovrappongono, talmente tante che alla fine spesso ci si sofferma solo su quanto è più semplice o folcloristico raccontare. Rosa Balistreri è la più grande cantante folk nata in quest’isola. La potenza del suo tono vocale, il dramma poetico e lirico del suo canto, il suono scarno della sua chitarra, sono impressi in canzoni che continuano ad affascinare e ad ispirare ancora oggi tutti, noi inclusi. Quello stesso pathos lo puoi ritrovare espresso in mille altri modi e in tantissime altre forme. Affidare alla musica il proprio sentire è cosa comune a tutti i luoghi e a tutte le popolazioni. Scegli la modalità che ti è più consona in quel momento, quella che pensi sia la più adatta a dargli forma. Per gli Uzeda è stato il suono elettrico delle chitarre e degli amplificatori a mutuare i pensieri. Il posto delle prove era il luogo dove potevamo convogliare i sogni e le frustrazioni quotidiane. In una terra dove tutto veniva negato e le condizioni per vivere erano (e continuano ad essere) difficili e proibitive, quello era il luogo dove eravamo salvi, dove potevamo sognare, esprimerci, comunicare con tutto il mondo, se non altro nella nostra immaginazione. Quel salto non era voglia di scappare, ma di affermare una libertà capace di essere al di sopra di qualunque altro potere invisibile e subdolo, nonostante la realtà oggettiva manifestasse l’opposto. Era come camminare su binari che potessero condurci ovunque. Ed è ancora così. Il resto è accaduto per caso. L’uso della lingua inglese, per il quale ci hanno a lungo criticato, quasi declassasse quanto facevamo, ci ha permesso di rivolgerci anche a chi viveva lontano dai nostri luoghi ed ha reso più facile lo scambio. Non ci siamo mai visti come “band da esportare”, semplicemente abbiamo suscitato interesse e siamo stati accolti. E sempre semplicemente nacque il contatto con Steve Albini, quando per registrare Waters decidemmo che lui sarebbe stato con noi in studio. Agostino lo raggiunse telefonicamente e da quel momento non ci siamo mai persi di vista.
Nazim Comunale: Catania in un certo periodo era un luogo importante nella mappa delle musiche non allineate italiane, grazie alla vostra rete di rapporti con i musicisti statunitensi: ci racconti dei famosi concerti al porto?
Giovanna Cacciola: C’è stato un periodo (la primissima amministrazione Bianco) che ha aperto un dialogo tra la città e il Comune. Eravamo esterrefatti perché il tutto avveniva senza raccomandazioni o preferenze prestabilite. Bastava avere un progetto convincente e voglia di fare. Così è stato possibile organizzare (per noi, ma anche per tanti altri) eventi e spettacoli che difficilmente sarebbe stato possibile realizzare. Tra questi, il concerto gratuito dei Fugazi al Porto, ma anche l’unica data italiana (forse europea) dei Brainiac, il concerto di The Make-Up, e tantissimi altri. Sempre al Porto, in collaborazione con Sergio Bianchi di Derive e Approdi, ci fu la rassegna sulle produzioni indipendenti per la quale abbiamo avuto l’onore e il piacere di ospitare Primo Moroni e Nanni Ballestrini, come anche Ciprì e Maresco, che ci portarono una serie inedita di Cinico TV. Era come riappropriarsi un po’ della città, e sembrava un momento magico.
Nazim Comunale: Sono stato di recente dalle vostre parti ed ho avuto l’impressione di una città dove si vive bene e dove c’è un certo fermento. Ho preso un abbaglio? Qual è il vostro punto di vista?
Giovanna Cacciola: Diciamo che c’era troppo sole e non hai visto bene… Catania è una città difficile, molto caotica, spesso maleducata, totalmente abbandonata a se stessa. In tutta questa confusione, esiste comunque ancora una qualità profonda della vita che si manifesta nei rapporti, nella vicinanza continua alle persone care, nell’anteporre questi rapporti a qualsiasi altra urgenza. Per questo hai l’impressione che ci sia fermento. È in realtà, secondo me, la necessità continua di vedersi, parlarsi, fosse anche solo per negare l’uno quello che dice l’altro. Ma è necessario per sentirsi vivi.
Nazim Comunale: Hai visto gli ultimi due, amarissimi film di Franco Maresco, “Belluscone – Una Storia Siciliana” ed il recente “La Mafia Non È Più Quella Di Una Volta”? Li ho trovati notevoli, ma se fossi siciliano credo che la visione mi avrebbe amareggiato e non poco. Aleggia una tesi di fondo che ha a che fare, sintetizzando brutalmente, con l’inesorabilità e l’ineluttabilità della Mafia. Che ne pensi?
Giovanna Cacciola: Penso che non sia possibile cambiare nulla se prima non c’è la totale consapevolezza della realtà. Per quanto amara possa essere, bisogna guardare a come stanno le cose. Il concetto e l’attività mafiosa hanno cambiato forme e contenuti, si sono aggiornati ed hanno nuovi territori, nuove modalità. Credo che non esistano territori su tutto il globo terrestre dove non ci si possa sentire amareggiati per una condizione che direttamente o indirettamente influisce sulle vite di tutti. Le attività mafiose in senso letterale, ma anche quelle che lo sono in senso lato, cioè come modalità di approccio ad attività che vedono prevalere alcuni sugli altri non per merito ma per “forza”, di qualunque natura, sono davvero ovunque attorno a noi, anche dove meno ce l’aspettiamo, e vestono spesso gli abiti della “normalità”. Il terreno sul quale viviamo tutti è davvero ormai fertilissimo per il fiorire di questi atteggiamenti, lo abbiamo nutrito tutti, in un modo o nell’altro. Se guardiamo a questo con coraggio, per quanto possa essere amaro, allora si può capovolgere qualunque situazione. L’ineluttabilità è la conseguenza diretta dell’illusione.
Nazim Comunale: Due musicisti jazz catanesi eclettici e molto attivi sono Francesco Cusa e Fabrizio Puglisi: conosci il loro lavoro? avete mai avuto modo di incrociarvi?
Giovanna Cacciola: Non ho mai incontrato Fabrizio Puglisi, mentre conosco bene e da tanto tempo Francesco Cusa, eccellente musicista e bellissima persona.
Nazim Comunale: Musicisti delle vostre parti che vale assolutamente la pena conoscere, secondo te?
Giovanna Cacciola: Ce ne sono tanti. Quelli che mi sovvengono in questo momento sono quelli che frequentiamo più spesso: Stash Raiders, Tapso II, ma anche Lumi, Regen. Vale sempre la pena conoscere nuove band.
Nazim Comunale: Cinque dischi della vita, tre band con cui vorresti andare in tour, e tre canzoni che vorresti avere scritto.
Giovanna Cacciola: Cinque dischi e tre band con cui voler andare in tour sono davvero pochi per indicare una preferenza, e non ci sono canzoni che avrei voluto scrivere io, perché quelle che amo di più sono felice che le abbia scritte chi lo ha fatto, nessun altro avrebbe potuto fare di meglio.
Maurizio Inchingoli: Ho un ricordo piuttosto nitido di una vostra esibizione al Covo Club, sto parlando del 2008. Poi tornai a casa a notte fonda, in bicicletta, galvanizzato da quel set granitico. Mi colpì la partecipazione del pubblico, che aveva seguito il concerto con grande calore. Sono sempre così le vostre esibizioni o in passato vi è capitato di avere a che fare con tipi di audience più composta?
Giovanna Cacciola: Certo, dipende molto dalla località, dall’età media dell’audience, ma anche da noi, da come stiamo e come ci sentiamo. Dipende spesso anche dal club o comunque dalla location. Suonare con le persone vicine è senza dubbio molto più coinvolgente, per noi e per loro.
Maurizio Inchingoli: Il nuovo album, Quocumque Jeceris Stabit, è il risultato di una singola session di registrazione effettuata con Steve Albini qui in Italia, mi pare. Immagino che i pezzi fossero già pronti da tempo… Cosa pensate invece di chi fa uscire un disco dietro l’altro? Voi rappresentate l’esatto contrario: in trent’anni di carriera avete pubblicato cinque album lunghi e due ep.
Giovanna Cacciola: Ognuno fa quello che gli è più consono fare. Noi pubblichiamo raramente un disco, ma suoniamo subito i brani che sono pronti, non aspettiamo che sia pubblicato un disco per farlo. Questo è il nostro ritmo, non è migliore né peggiore di quello altrui, è solo diverso. Il ritmo che noi seguiamo è quello della nostra vita e ne contiene contemporaneamente anche altri. Non è semplice riuscire a coordinarli tutti, richiede tempo e pazienza.
Maurizio Inchingoli: Cosa vi piace ascoltare in questo periodo? Tanta musica ormai non si fa solo con le chitarre, anzi.
Giovanna Cacciola: Teniamo impegnata la nostra insaziabile curiosità ascoltando tutto ciò che la piazza offre, senza limiti di genere né di provenienza. Ciò che amiamo ascoltare sono i suoni che non si esauriscono nel tempo, suoni che sanno raccontare storie e altre culture, suoni che affascinano l’immaginazione e fanno volare la fantasia.
Maurizio Inchingoli: Quanto è cambiato l’underground italiano dai tempi del vostro esordio a oggi? Avete acquisito nuovi fan, anche più giovani, oppure chi vi segue è sostanzialmente un ascoltatore più “navigato”?
Giovanna Cacciola: È naturale che l’underground sia mutato in tutti questi anni, non una ma tante volte. Segue il cambiamento dei tempi, delle generazioni, delle condizioni di vita e delle modalità di comunicazione. Siamo sorpresi dal notare sempre anche un pubblico giovane ai nostri concerti, a volte anche molto giovane. È un buon segno non solo per noi, ma in generale perché denota curiosità e apertura da parte dei ragazzi. Noi siamo sempre affascinati dalle nuove generazioni, è stimolante seguirle e ascoltarle, perché rappresentano l’evolversi e il proseguire del pensiero umano.
Maurizio Inchingoli: Vado a memoria, sperando di non far cilecca. Ho un ricordo di una vostra esibizione in RAI per una trasmissione che si faceva a metà anni Novanta credo, al sabato pomeriggio, si chiamava Supergiovani, il conduttore era Marino Sinibaldi (poi direttore di Radio 3). La ricordate anche voi? Che tipo di esperienza fu?
Giovanna Cacciola: Credo fosse proprio quella che dici. Ad ogni puntata veniva presentato uno spaccato della produzione culturale giovanile del momento di una specifica città. È stato interessante, la location scelta a Catania era la vecchia dogana, prima del restauro, quindi ancora molto affascinante e insolita.
Maurizio Inchingoli: Ci sono in qualche modo degli eredi, oggi, che possono ricordare la vostra musica o comunque la vostra attitudine?
Non ci interessa trovare eredi né similitudini in altri, meno che mai nei più giovani, verso i quali abbiamo una fiducia illimitata. Certo, qua le nuove band, soprattutto quelle che non vogliono allinearsi ai percorsi commerciali del successo veloce, fanno semplicemente quello che a loro interessa, tracciando il proprio itinerario musicale e, pur non avendo vita e condizioni facili, continuano a suonare e ad impegnarsi per trovare occasioni che permettano loro di comunicare quanto hanno urgenza di esprimere, senza false illusioni e senza farsi scoraggiare dalle difficoltà: in questo sì, siamo molto simili.