Utech Records
Utech Records (Milwaukee, Wisconsin) è l’etichetta di Keith Utech, che la porta avanti da qualcosa come dodici anni. I dati fondamentali da tenere in mente quando ne parliamo sono il design curatissimo, il dialogo che quest’aspetto instaura con la musica contenuta negli album, la progettualità (esistono due “serie” di dischi Utech in cui il copertinista è volutamente uno solo ed è stato in qualche modo decisivo per la scelta degli artisti inclusi in esse), l’identità di frontiera del sound.
Negli anni Keith ha scoperto e stampato un sacco di cose interessanti, ma non mi è mai stato facile sciogliere tutti i nodi del discorso che avrei voluto tenere su di lui e sul suo lavoro. È passato tanto tempo dalla prima volta che ho spulciato il catalogo di Utech e nel 2016 mi sono reso conto che era comunque ora di farlo parlare della sua attività e rendere disponibile on line un contenuto decente in italiano sull’argomento, anche se – più che un pezzo vero e proprio – ancora oggi ho solo delle dritte da dare. La prima, quella che mi viene più facile, riguarda tutti i progetti legati allo svizzero Reto Mäder, quindi RM74, Ural Umbo e Sum Of R, tutti grandissimi quanto ad atmosfere create e in possesso di un sound in continuo divenire: denso, nero e soprattutto originale.
C’è poi un filone composto da gente che mischia drone, kraut, noise e metal come Locrian, Horseback, Gog (qui Keith è stato proprio un talent scout, chiedetelo alla Relapse e alla Season of Mist…), che sono stati coltivati dall’etichetta, ma anche singoli colpacci che si sono tradotti nell’avere in bottega gente come Aluk Todolo e Nadja (possiamo aggiungere pure Skullflower).
Importante è lo spazio dato all’Estremo Oriente (o all’Oriente Estremo, forse), tanto che una delle tre serie speciali dell’etichetta è dedicata proprio a questo tema. Non dimentichiamoci che uno degli artisti-feticcio di Keith è Suzuki Junzo (altri che tornano spesso sono Plotkin, Marhaug e Menche) e che poco tempo fa con questo marchio è uscito (esaurendosi al volo) un triplo cd dei Fushitusha.
Esiste anche una zona “jazz” sui generis, occupata da gruppi come gli enormi Dead Neanderthals (sommiamoci l’album in solitaria del loro batterista René Aquarius) o dai dischi di Frank Rosaly (che suona con la Natural Information Society del bassista e compositore Joshua Abrams), senza dimenticare la presenza di Mats Gustafsson.
Adesso si può pensare alle possibili intersezioni di questi insiemi, perché ce ne sono eccome, e a come determinati musicisti ci passino di continuo. L’intervista che segue è esplorativa ed è anche la mia conversazione con una persona che ammiro molto. Visto che non ci sono contenuti in italiano su Utech, anzitutto ho cercato di capire il chi-come-dove-quando…
Se ricordo bene, il mio incontro con Utech Records è stato merito del primo album dei Sum Of R: suono unico, formazione davvero, ma davvero inusuale (giradischi, basso, harmonium), artwork incredibile (immagini e materiale). Cosa ricordi della produzione di quell’album? Dopo questo disco hai pubblicato Ural Umbo e RM74. Tutti questi progetti sono guidati da Reto Mäder e alcuni di essi sono la roba migliore che ho sentito negli ultimi anni. Come hai scoperto questa “scena” svizzera?
Keith Utech: Anzitutto grazie per le parole gentili. Sono felice di sentire che ti sono piaciuti i dischi di Sum Of R, Ural Umbo e RM74. È un piacere svolgere quest’intervista con te.
Tutti questi progetti sono guidati da Reto Mäder. È un ragazzo estremamente talentuoso e mi ha avvicinato all’inizio di Sum Of R. Sono d’accordo che quell’album sia eccellente e un ascolto davvero unico. Sempre quella volta ero in contatto con Rik Garrett. Lui ha fornito la fotografia. Reto aveva il logo ed io ho progettato il packaging. La confezione è stata stampata da Stumptown ed era fatta di black stock con inchiostro d’argento. C’era anche un poster dentro la custodia del cd, era un’altra foto di Rik. I pezzi di Rik possiedono qualcosa di etereo e di inquietante e si adattavano perfettamente alla musica. Ho fatto ricorso al suo lavoro anche per il cd self titled degli Ural Umbo e la loro cassetta Latent Defects. Avevo dato una copia del disco dei Sum Of R a Steven Hess. Anche lui pensava che quella musica fosse eccellente ed è da lì che ha iniziato a lavorare con Reto agli Ural Umbo. Quel progetto era speciale. “Ural Umbo” è il titolo di un pezzo del primo Sum Of R. Ho anche pubblicato due cd di RM74, il progetto solista di Reto, che ha sviluppato per molti anni.
Una cosa strana è che Jon Mueller, che gestiva la Crouton Records a Milwaukee, una volta mi chiese di fare il design per una delle sue pubblicazioni. Quella pubblicazione era un cd di RM74. Questo è successo un po’ di anni prima che io e Reto collaborassimo.
Non sapevo tu avessi causato la nascita degli Ural Umbo. Poi, quando Steven Hess divenne parte dei Locrian come batterista (prima erano un duo chitarra-synth), pubblicasti il loro primo album insieme, uno dei loro capolavori: The Crystal World. Artwork di Justin Bartlett. All’epoca Justin era al suo meglio: ogni band estrema voleva una sua copertina (oggi succede a Costin Chioreanu), e i nostri lettori sanno che sei un top player quando c’è da fare la confezione dei tuoi dischi. Quindi ho un po’ di domande in una sola: seguo i Locrian dall’inizio (mi avevano mandato il loro primo disco per una recensione), mi piace molto Bartlett, mi piace molto Ballard (“The Crystal World” è un suo romanzo)… forse voglio solo i ricordi che hai della produzione di questo album, come per quello dei Sum Of R. Cercherò di essere più intelligente con le prossime domande.
Sì, penso di aver causato la nascita dei Locrian come trio. All’epoca io e Steven eravamo amici già da un po’. Sapevo che c’erano i Locrian e che avevano pubblicato Drenched Lands, ma non avevo sentito l’album. André Foisy (il chitarrista dei Locrian, ndr) mi contattò per presentarmi la band. Questo succede un sacco quando hai un’etichetta. Suggerì di vederci una volta quando lui sarebbe passato a Milwaukee. Io fui d’accordo e da allora siamo ancora buoni amici. Poco dopo André e Terence (Hannum, sintesista dei Locrian, ndr) fecero conoscenza con Steven. Tutti e tre i Locrian erano a Chicago ed era bello farci un salto e uscire con tutti loro. Prima parlavamo di Rik Garrett, quella volta lo ingaggiai per scattare le “band photos” per The Crystal World. Anche quella fu una gran giornata. Quel giorno conobbi Terence. Rik è super-talentuoso e guardarlo lavorare fu eccellente. Rik ha scattato anche le foto del disco in collaborazione tra Mamiffer e Locrian. Tutto questo è avvenuto a Chicago dietro l’Hideout, il giorno dopo il primo Utech Records Music Festival.
Torno su The Crystal World. È uno dei miei album preferiti all’interno del catalogo Utech, per ovvie ragioni. I Locrian sono cresciuti come band e continuano a pubblicare dischi fantastici, ma The Crystal World è il loro capolavoro. Era un periodo in cui la Utech stampava album seminali di band che sarebbero passate a situazioni più grosse. The Invisible Mountain (Horseback) e The Crystal World fecero sì che Relapse scritturasse quelle band. Non ero coinvolto nella produzione in studio di The Crystal World, ma ascoltavo i demo e l’ingresso di Steven nel gruppo fu immenso. André mi raccontò che Steven avrebbe suonato nel disco e che loro volevano che fosse Utech a pubblicarlo. Come puoi vedere, ha una grafica diversa dagli altri dischi dei Locrian. Lo aiuta a emergere, credo. Volevo proprio spingerli in una nuova direzione. I dividendi sono ovvi. Justin Bartlett produsse uno dei suoi pezzi migliori e più noti per quell’album. All’epoca era molto richiesto, e per dei buoni motivi. Ho lavorato con lui su vari progetti nel corso degli anni. Il suo disegno per The Crystal World era in bianco e nero in origine. Lui volle aggiungere colori e mi ricordo che tutti quanti ne discutemmo più volte. Io ero quello più esitante, perché le cose di Justin in bianco e nero sono meravigliose. Mi arresi io e puoi vedere il risultato. Fui spazzato via, come minimo.
Queste due prime risposte mi piacciono perché ho intervistato tanti “label manager” nel corso degli anni, ma nessuno di loro ha parlato di materiali, colori, disegni… nel modo in cui tu ne hai parlato. Sei come una specie di artigiano. Vorrei sapere (come penso vogliano sapere i miei lettori) come hai acquisito esperienza coi materiali, coi font, le foto… non è solo una questione di buon gusto, tu hai esperienza, conoscenze…
Grazie per averlo notato. Artigiano è una parola buona da utilizzare. L’etichetta non è mai stata pensata come un business. Si tratta di alleanze creative e basta. Io ho una formazione come graphic designer e questo è il mio contributo al processo. Amo lavorare coi materiali, con la tipografia e le parti visive. Essenzialmente, curo la musica e l’arte. Metto le due cose insieme e lavoro al design e alla presentazione dell’edizione, che sia lp, cd o cassetta. Mi piacciono tutti i formati. Voglio chiarire che non dipingo o illustro o scatto io le fotografie delle copertine. Sorprendentemente ho incontrato varia gente che crede sia io a farle. È comprensibile e lusinghiero, ma ogni copertina di ogni mia pubblicazione è commissionata. Sono coinvolto nel processo dall’inizio alla fine, ma solo in termini di direzione artistica e di design. Lavoro con persone fantastiche che fanno apparire/suonare le mie edizioni nel modo in cui appaiono/suonano. Do sempre loro credito a ogni occasione. Negli ultimi anni ho allentato il mio controllo personale sulle cose e ho anche permesso ad altri designer di aiutare col layout e i logo. È difficile fare tutto da soli. Cerco di concentrarmi su ciò che è meglio per la pubblicazione. Le persone su cui conto di più sono Kevin Gan Yuen e Jamie Lawson. Mi hanno aiutato a ottenere cose fantastiche dal punto di vista visivo.
A proposito di aspetto visivo… alcuni anni fa hai creato le Arc Series: nove musicisti/band, nove album, solo un copertinista, Max Aguilera-Hellweg. Aguilera-Hellweg non era una scelta ovvia, almeno secondo me. È stato difficile convincerlo a lavorare con te? Ed è stato difficile convincere i musicisti coinvolti in questo progetto che il copertinista era già scelto? Vedendo questa serie ora, dopo nove anni, i tuoi pensieri su quest’ambiziosa impresa sono ancora gli stessi?
Sono felice che ti sia accorto delle Arc Series, capendo l’idea che c’era dietro. Non era una scelta convenzionale, anche a livello di fotografi. Volevo sperimentare prendendo un visual artist e lavorando con uno schieramento di musicisti per ottenere un risultato specifico. Sentivo che avrebbe avuto successo. Max è un fotografo di grande talento e un uomo molto gentile. È stato disponibile col suo lavoro e un socio gradevole da avere a bordo. La cosa più difficile è stata convincere gli artisti a partecipare. A causa della premessa non ortodossa, qualcuno era esitante. All’epoca non ero affermato come etichetta nota per l’aspetto visivo delle sue uscite. Le Arc Series avrebbero cambiato questa situazione. Insomma, siccome ero relativamente sconosciuto, c’era un problema di fiducia da superare. Ho dovuto persuadere gli artisti sul fatto che c’era un’idea più grande che volevo realizzare. Non era semplice. Le copertine non erano direttamente collegate ai titoli degli album e nemmeno a ciò che gli autori pensavano volesse significare la musica. Una questione di fede per tutte le parti. Sono grato a tutti gli artisti che hanno partecipato. Per me si trattava di stabilire un approccio al modo di fare cover che fosse interessante e d’impatto. Penso che ci debba essere un alone di mistero a circondare una pubblicazione, a come la musica e il packaging siano un’entità coerente. Guardando la serie oggi, sono molto contento. Max ed io avevamo lavorato a un disco subito prima che io iniziassi le Arc Series e ho voluto proseguire la nostra relazione professionale. Parte della gioia del gestire un’etichetta è l’opportunità di lavorare con persone che ammiro musicalmente e/o come grafici.
Ok, una più facile adesso. Facciamo un po’ di promozione, te la meriti. Hai appena pubblicato un album molto buono, Blight di René dei Dead Neanderthals, un’altra band tra l’altro che dimostra la tua abilità di talent scout. Hai trovato di nuovo un artwork impressionante per il disco, questa volta firmato Michał Mozolewski. Mozolewski sembra specializzato nel trasformare il classico ritratto. Come l’hai trovato? Sembra poi che ti piaccia lavorare con gli “expanded drummers” (di base batteristi che fanno dischi solisti, creando album ambient e atmosferici), penso a Steven Hess, Frank Rosaly e adesso quest’album potente di René…
Grazie. Felice ti sia piaciuto l’album. Penso proprio di apprezzare gli “expanded drummers”. Sono sempre alla ricerca di musica interessante e quest’anno ho avuto l’opportunità di lavorare con tre batteristi fantastici: Frank Rosaly, Ryosuke Kiyasu e René Aquarius. Tutti loro hanno fatto cose incredibili al di fuori del regno di quello che è tipicamente considerato batteria/percussioni. Non stavo cercando specificatamente di collaborare con dei batteristi, ma quest’anno è andata così e sono fiero dei risultati. Per quanto riguarda l’aspetto visivo, Michał Mozolewski è fantastico. Tento di mantenere una lista mentale di artisti con cui vorrei far qualcosa e si dimostra utile quando sto ascoltando una mia pubblicazione “potenziale” e pensando a da che parte andare con la parte visiva. Io e René abbiamo avuto parecchi scambi su questo. Entrambi volevamo che la copertina fosse speciale. Quanto fatto da Michał era perfetto. Si adatta alle idee e all’atmosfera della musica.
Hai detto che non stavi specificatamente cercando di lavorare con batteristi. A quel punto ho pensato che è difficile classificare Utech Records. Hai incontrato persone che provenivano da posti diversi e da diversi generi: jazz, ambient, noise, industrial, metal e postmetal… ma tutto sembra essere appropriato per il tuo catalogo. In molti casi questo succede perché alcuni artisti sono collegati, in altri perché troviamo suoni scuri e pesanti nei tuoi dischi, anche se mai dei cliché. Segui delle regole non scritte quando cerchi la tua prossima band?
Non ho mai stabilito di essere un determinato tipo di etichetta. Avrebbe reso le cose semplici per me, ma non è questo quello che vuole essere Utech. Preferisco lavorare con tipi diversi di artisti. Penso che ci sia un filo rosso che lega le mie uscite, un elemento intangibile che le connette dal punto di vista musicale e da quello visivo. È una sfida che mi piace. L’etichetta riflette il mio gusto musicale e artistico. Cerco approcci non convenzionali a entrambe le cose. Non ci sono regole non scritte o “mission”. È strettamente personale.
Sono d’accordo. Di certo ti interessano gli artisti giapponesi. Di recente hai creato un box set per la tua serie Shokyo Ontei, dedicata a quel mondo. E hai anche pubblicato band leggendarie come i Fushitsusha. Come hai iniziato la tua esplorazione di quei luoghi? Quale è stata la scintilla?
Mi interessano decisamente gli artisti asiatici. Trovo che quel mondo dal punto di vista musicale sia intrigante e mistico. Mi è difficile ricordare esattamente come sono arrivato a prediligere i musicisti giapponesi. C’era un periodo in cui facevo tape trading, così ho scoperto band come Hellchild, SxOxBx e Taj Mahal Travelers. Ho anche scoperto Fushitsusha, Keiji Haino, Kaoru Abe, Masayuki Takayanagi, e Hijokaidan. C’è un intero universo di noise, rock e free jazz giapponese che è fantastico. La lista è infinita. Ho avuto la fortuna di forgiare una rapporto personale e musicale con Suzuki Junzo negli anni. Il suo amore per il blues e il suo approccio a esso sono fantastici. Tanta gente non riesce a sentire il blues nella sua musica, ma è lì, esattamente come lo trovi anche nel modo di suonare di Albert Ayler, che all’epoca lo incorporò. La sua può essere una proposta intimidatoria nei confronti degli ascoltatori. Ma può anche essere appagante.
Sì, hai creato un rapporto personale musicale con Junzo, e anche con Steven Hess, i Dead Neanderthals e così via (ne abbiam già parlato). Non abbiamo menzionato Lasse Marhaug! Lo hai voluto anche per la celebrazione del decennale di Utech. Perché? A me lui piace, ma considera, quando rispondi, che di rado i giornalisti italiani recensiscono la sua roba.
Lasse è un buon amico e un’ispirazione per me dal punto di vista musicale e visivo. Il suo lavoro in ambito design è fantastico. Lasse è stata una delle prime persone alle quali mi sono avvicinato quando ho cominciato l’etichetta. Lui ha supportato molto le cose che ho fatto all’epoca. Da quella volta siamo sempre rimasti in contatto. Tra l’altro ogni tanto per me fa dei mastering. Spaghetti Western Rainbow è stata la primissima pubblicazione su Utech Records e l’ho ristampata vari anni dopo data la natura molto limitata della prima tiratura. Per i cinque anni di Utech, Lasse contribuì con un pezzo chiamato “Beauty Without Mercy”. Justin Bartlett fece una copertina fantastica e “Beauty Without Mercy” fu stampato in edizione limitata come un cd-promo per questo anniversario. Il pezzo è ancora disponibile sul Bandcamp di Utech come free download. Quando il decimo compleanno di Utech ha cominciato ad avvicinarsi ho pensato a unire due artisti per una collaborazione esclusiva. Ho invitato Lasse e gli ho chiesto se c’era qualcuno con cui volesse suonare. Ha scelto Runhild Gammelsaeter. Questo si è tradotto nel long playing Quantum Entanglement, che mette in luce entrambi gli artisti ed è una delle gemme del mio catalogo.
Voglio nominare e ringraziare un altro artista che ha supportato l’etichetta: Ras Moshe, un sassofonista di Brooklyn. Ras e io siamo rimasti in contatto per un po’ e lui mi mandava le registrazioni dei suoi dischi (come anche una tonnellata di bootleg jazz incredibili). La sua musica è stata un fattore pesante nella mia decisione di iniziar l’etichetta e insieme abbiamo messo in piedi i primi quattro volumi della serie “Live Spirits”. Consiglio a chiunque sia interessato al free jazz di andarseli ad ascoltare. La musica fu accolta molto bene. Ras Moshe continua a fare un lavoro importante musicalmente dentro e fuori New York.
Prima di arrivare alla fine vorrei che tu mi parlassi di Milwaukee Cassette Works, così possiamo far girare la voce. Però vorrei anche sapere i tuoi pensieri sulla resurrezione della cassetta, dato che apprezzo la tua attenzione per tutti gli aspetti “non musicali” delle tue pubblicazioni. Hype? Omaggio al vecchio underground? Design? Sperimentare con le limitazioni del formato? La possibilità di stampare un’edizione fisica di un disco senza spendere troppo?
Grazie per l’intervista. È stato un piacere. Voglio anche ringraziare tutti quelli che negli anni hanno supportato Utech.
Milwaukee Cassette Works, come la stessa Utech, è fatta per passione, detta pura e semplice. In parte è un omaggio a un formato che amo, sì. In parte è nostalgia, sicuro. Alla fine della fiera, mi piace produrre cassette e se riesco anche a essere coinvolto nella fase della loro duplicazione va ancora meglio. Non ha niente a che vedere con l’hype e ha tutto a che fare con alleanze creative e lavorare con nuove persone. Questo formato per me è sempre stato valido. Quando avevo tredici anni ho comprato Mob Rules dei Sabbath su cassetta. Ho suonato per 33 anni questa cassetta ed è morta solo l’anno scorso. Il media fisico ha il suo posto nel paesaggio musicale. Io partecipo a tutto questo perché sento che la gente che ama la musica, ama anche comprare media tangibili. Questa convinzione è alla base di Utech e di Milwaukee Cassette Works.