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UNKNOWN MORTAL ORCHESTRA, V

C’è un certo coraggio dietro alla scelta di pubblicare un disco così lungo e articolato in momento storico in cui spesso si ragiona esclusivamente per singoli. Se a farlo, poi, è Ruban Nielson, che con UMO si è reso il protagonista mainstream di una ricerca musicale (e introspettiva) sempre più legata, col passare degli anni, alle riflessioni sul post-colonialismo, si può star sicuri che il tutto scivolerà liscio nonostante il suo notevole peso specifico.

V è stato composto fra Palm Springs, dove Ruban ha vissuto durante i mesi del lockdown nel 2020, e Hilo, dove si è dovuto trasferire per ragioni familiari (Nielson è di discendenza hawaiana, oltre che neozelandese). Abbiamo imparato che i dischi del lockdown sono spesso dischi ipertrofici, che crescono nella testa di chi li scrive senza troppi confronti esterni, e che rischiano di diventare tragicamente autoreferenziali. In questo caso, però, grazie forse anche all’apporto compositivo del fratello Kody (da sempre membro degli UMO) e del padre Chris, flautista e sassofonista, le idee seguono uno sviluppo pensato, senz’affondare nelle paludi del solipsismo.

Ispirato dalla musica Hapa Haole (letteralmente “mezzo bianco”), un genere che nasce nei primi del Novecento dall’incontro fra i compositori di lingua inglese e la musica tradizionale hawaiana, V, all’ascolto, suona come un ottimo album degli UMO, in cui la psichedelia si insinua tra le atmosfere da bordo piscina e i testi screziati di cupezza tipici di Nielson, creando quel gustoso pop complicato che è da sempre la loro cifra stilistica. Secondo Nielson “ci sono due tipi di gusto, nell’arte, uno istintuale e uno costruito. Quando il gusto diventa strumento di potere è un ostacolo all’arte, che invece dovrebbe procurarci i brividi lungo la schiena”. Mai come in questo disco le intenzioni di costruire a priori uno stile, un gusto, sembrano lontanissime, merito della maturità musicale e della capacità di controllare il processo creativo dimostrata in queste sedici tracce che, prima di tutto, sono divertenti, e poi, come abbiamo visto, sono anche tutta una serie di importanti altre cose. Certo sono un collage che a tratti perde di consistenza e si sfalda, rivelando alcuni momenti forse troppo leggeri, ma che bello avere un album lungo in cui perdersi, ascoltandolo dall’inizio alla fine per poi innamorarsi di alcune tracce e dimenticarsi le altre, un album da poter riascoltare dopo mesi, recuperare, comprendere.

Con la sua lunghezza V ci costringe a comportarci come ci si comportava con i vecchi dischi, a dargli peso e fargli spazio, e per questo dobbiamo proprio ringraziare l’ipertrofia da lockdown.