UNIFORM, American Standard
La storia dietro ad American Standard è straziante. American Standard è una marca di cessi statunitense, quella che il cantante degli Uniform, Michael Berdan, ha letto miliardi di volte andando a vomitare. Bulimia. Bruttissimo affare, esorcizzato in questo disco. I venti minuti del primo pezzo, che porta lo stesso titolo dell’album, sono teatro o quasi: mi riesce molto difficile scriverci su qualcosa, anche dal punto di vista musicale, perché finiscono per essere una specie di patchwork al servizio di un uomo che si mette a nudo sul palco. C’è un articolo recentissimo sul Quietus in cui Berdan si racconta senza intermediari e senza nessuno a intervistarlo: è davvero tutto ciò che bisogna sapere sul disco. Sono più nel mio quando ho a che fare “This Is Not A Prayer”, che affronta comunque quello stesso disturbo, ma sono “solo” sei minuti di percussioni incessanti e noise-rock, efficacissimi, così come mi piace “Clemency”, che ha una cadenza quasi doom e a pensarci bene parla proprio dell’essere doomed, e con “Permanent Embrace”, ballardiana nelle tematiche e cazzutissima, noise-rock alternato a una specie di omaggio al black metal anni Novanta, forse un tentativo di causare frontale tra i due generi come quello tra le due macchine di cui si parla nel testo del pezzo. Non so se American Standard vada posseduto, ma come ignorarlo?