UNAUSSPRECHLICHEN KULTEN, Teufelsbucher
Niente Germania, come potrebbero lasciar trapelare nome del gruppo e titolo del disco. Chiunque segua Lovecraft, sa che l’Unaussprechlichen Kulten è un libro maledetto alla stregua del Necronomicon. E chiunque segua il death metal sa che è anche il nome di un gruppo cileno, veterano di quella inesauribile scena. Mi sono sempre chiesto, senza darmi una risposta netta, cosa renda proprio il Cile così prolifico in campo death metal, e questo a partire dalla fine degli anni ’80.
Quinto album in quasi venti anni per gli U.K., e sicuramente il mio preferito della loro carriera. Nell’epoca degli innumerevoli gruppi death metal che optano per la ricetta “Incantation + tsunami di riverbero”, gli U.K. riescono a rendere il loro death metal sinistro e oppressivo grazie alla sola musica, senza effetti. In questo li avvicinerei agli Immolation, dei quali mantengono l’approccio dissonante, anche se non la modernità dei suoni. E forse nemmeno l’estro chitarristico, ma gli Immolation a mio parere sono dei giganti senza avversari, quindi nulla a discapito dei cileni. Certo, la produzione non è forse delle migliori, il mix è un po’ confuso e la cassa della batteria esce troppo: magari sono scelte consapevoli, ma l’aspetto che rende gli U.K. notevoli è proprio quello compositivo e sarebbe stato forse meglio evidenziarlo, quantomeno questo è il mio parere. Il gruppo suona davvero e lo fa in maniera personale, pur nei canoni di un certo death metal, ed è giusto che questo venga fuori e che elevi i nostri al di sopra dell’anonimato