ULVER, Flowers Of Evil
Il groove incredibile e magico di “Little Boy”, la malinconia devastante di “Russian Doll”: Flowers Of Evil ha motivi per farsi ricordare, anche perché è quasi l’unico caso in cui gli Ulver ripetono l’album precedente. The Assassination Of Julius Caesar, uscito nel 2017, è un disco pop con testi sofisticati, legato agli anni Ottanta elettronici al pari di Sic Transit Gloria Mundi, ep pubblicato poco dopo, che contiene la cover di “Power Of Love” dei Frankie Goes To Hollywood. Idem Flowers Of Evil, anche per come gioca con l’immaginario popolare e la cultura c.d. “alta”. Prodotto sempre da Martin Glover, non proprio l’ultimo degli stronzi, vede la band giusto un po’ più stanca, magari delusa dal non esser riuscita a imbarcarsi in un tour americano perché le prevendite sono andate malissimo, eppure pronta ad auto-celebrarsi in separata sede con un libro in cui parla della sua storia, conversandone con un amico scrittore. In apertura, nello specifico nella discreta “One Last Dance”, c’è persino Fennesz (loro primo remixer, o quasi), purtroppo impalpabile. Pure l’ottimo Stian Westerhus è della partita (del resto, se ho ben capito, è Garm il direttore artistico di House Of Mythology, dove il chitarrista norvegese si gioca la sua carriera solista), ma anche lui è impercettibile, perché gli Ulver hanno il loro disegno e per fortuna lo impongono, solo che per sfortuna non indovinano tutti i pezzi: “Machine Guns And Peacock Feathers” è banale (la parte di chitarra potrebbe essere dei Ladytron, che già erano la copia della copia), “Hour Of The Wolf” è troppo melensa (come “Nostalgia”, sfruttata come terza anticipazione del disco, come “A Thousand Cuts”, per la quale si chiamano in causa, sbagliando, addirittura i Talk Talk) e “Apocalypse 1993”, che vorrebbe essere una nuova “Rolling Stone” (il pezzone moroderiano/summeriano di The Assassination Of Julius Caesar) ma non ci riesce. In un paio di frangenti i suoni e certe scelte melodiche sembrano riciclare oltre il lecito il materiale del 2017, ma non vorrei essere troppo severo, alla fin fine siamo di fronte a un fratello minore e basta. Ecco, forse per questo ciclo di tre uscite degli Ulver vale – con le dovute proporzioni – il discorso che qualcuno fa su Load e Reload dei Metallica: unendo i pezzi migliori si ottiene un signor album.