ULVER, 3/6/2017
Fontanellato (PR), Labirinto della Masone. Le foto sono di Antonio Cassella.
Nel mio immaginario degli ultimi anni Ulver e Parma hanno formato un binomio solido, una collaborazione felice che ha contribuito a concretizzare occasioni indiscutibilmente uniche, memorabili. Il doppio appuntamento al Teatro Regio aveva dato forma ad un progetto ambizioso, l’incarnazione più sinfonica dei norvegesi, che ha visto il suo difficile punto d’arrivo con Messe I.X-VI.X.
Per quello che era stato preannunciato come uno spettacolo di presentazione dell’ultimo album, The Assassination Of Julius Caesar, la formazione a sei di Kristoffer Rygg è stata ospitata dal Labirinto della Masone; una cornice suggestiva, già teatro dell’evento Finis Mundi, che poco meno di un anno fa ha portato in Italia i Sunn O))).
L’apertura è affidata a Stian Westerhus, jazzista sperimentale norvegese che accompagna la band in queste date del 2017, già collaboratore di Jaga Jazzist e Puma e forte del quinto album solista, Amputation, uscito nel 2016 per House Of Mythology (come del resto The Assassination Of Julius Caesar). Mezz’ora di esecuzione intima e sperimentale, un dialogo continuo tra linee vocali flautate e tessiture di chitarra processata, che ben prepara il pubblico e introduce l’arrivo della sezione ritmica ed elettronica del gruppo.
Senza soluzione di continuità, attacca il groove iniziale di “Nemoralia”, esteso per meglio segnare il cambio di passo e quasi coprire l’entrata in scena in punta di piedi di Garm. La scenografia scelta è un esplicito e continuo richiamo agli Anni Ottanta, in coerenza con l’album proposto: un grande gioco di laser disegna su un telone semi-trasparente e sul porticato del Labirinto elementi in 2D e 3D che richiamano molto le sale giochi e lo stile arcade.
La scaletta ripercorre, come da programma, l’intera tracklist dell’ultimo album, mescolando però l’ordine delle canzoni, mentre i sei si concedendo ampie libertà nell’arrangiamento di alcune parti per legare al meglio le situazioni più ritmate, sfociando talvolta in momenti di genuina improvvisazione.
C’è spazio anche per una chicca da Perdition City, una versione di “The Future Sound Of Music” che ben si amalgama al contesto synth-pop e segna l’inizio della parte conclusiva dell’esecuzione. Questa coda è dominata da una versione-fiume di “Coming Home”, quasi venti minuti di costruzioni e decostruzioni trance, che culminano nell’apertura finale.
Resta lo spazio per una breve celebrazione, il brindisi dal palco con una bottiglia di vino, ovverosia uno dei pochi momenti non cantati che Rygg si concede al microfono, non smentendo così la sua attitudine schiva e riservata.
“Don’t be afraid, it’s only music”.