ULRIKA SPACEK, Compact Trauma
Confesso che non avevo mai ascoltato gli Ulrika Spacek prima, ma pensavo che fossero una band psichedelica del giro di Fuzz Club, Rocket Recordings o Cardinal Fuzz. Effettivamente un certo grado di parentela esiste, dato che la psichedelia rientra nel loro ventaglio sonoro, ma non è l’influenza principale. Gli Ulrika Spacek sono una di quelle band che hanno recuperato molta roba degli anni Novanta (My Bloody Valentine, Sonic Youth, Slowdive, Pavement, Built To Spill e compagnia bella), tra psichedelia, shoegaze, noise, punk, hard e new-wave. Questo Compact Trauma, che arriva a distanza di ben sei anni dall’ultimo Modern English Decoration, parte con il gioco di linee melodiche e spigolature post-punk di “The Sheer Drop” e più o meno questa è la via intrapresa in gran parte dell’album anche se non mancano momenti di spleen britannico (“Lounge Angst”, “Compact Trauma”), soste elettroniche (“Through France With Snow”) o melense ballate tra Silversun Pickups e MGMT (“If The Wheels Are Coming Off, The Wheels Are Coming Off”, “No Design”). Queste deviazioni costituiscono anche il punto debole di Compact Trauma, in quanto ne aumentano la lunghezza a dismisura e ne incoraggiano la prolissità (su dieci canzoni, almeno cinque superano i cinque minuti), ed è un vero peccato, perché i rimandi ai Deerhunter e ai DIIV sono notevoli e mai sbandierati (“It Will Come Sometimes”, “Disbänkrealism”), mentre i dieci minuti di “Stuck At The Door” riappacificano gli Ulrika con Thurston Moore, mettendo dentro di tutto (riff indie-rock, kraut-punk, intrecci di chitarre ambient, tastierine malinconiche). La sensazione, alla fine, è che non abbiano proprio centrato il punto, anche se una maggiore snellezza risolverebbe già molti dei dubbi su Compact Trauma.