ULCERATE, Stare Into Death and Be Still
Mai stato esperto di death metal di qualunque tipo, figurarsi di quello “tecnico”, se l’aggettivo ha senso. Mai stato nemmeno fan dei Gorguts o degli Immolation, che sono due influenze dichiarate da questi tre. Però già dal disco precedente (e li seguivamo pure da quello prima) sento l’esigenza di avere qualcosa di scritto sugli Ulcerate su questo sito, perché occorre documentare l’esistenza di quest’ibrido contorto di death e black (dev’essere che mi piacciono i Deathspell Omega). Quindi state leggendo una testimonianza e una dritta a degli amici, non una recensione.
Su Stare Into Death And Be Still sembrano tutti – pubblico, giornalisti, la stessa band –d’accordo: un po’ più melodico, un po’ più accessibile, sempre con la consapevolezza che siamo di fronte a qualcosa di non lineare e pensato per offuscare la vista e gli altri sensi. Senza stare lì a fare le classifichine coi votini come gli scemi, io la metto giù molto più semplice: sai suonare? Sei in qualche modo “prog”? Di solito sei noiosissimo. Secondo me, infatti, solo pochi nel metal riescono a combinare preparazione con personalità e impatto: gli Ulcerate sono tra questi pochi, come dimostra più o meno ogni loro album. Non so a memoria i loro pezzi (è impossibile, dai), ma l’impronta del sound e la voce particolare mi permettono sempre di riconoscerli. Questo mi basta per seguirli, insieme al mio debole per band oblique/dissonanti come questa o come Pyrrhon e Imperial Triumphant.
La possibilità che gli Ulcerate piacciano a una grossissima fetta di metallari sta tutta nei primi tre pezzi, potenti, veloci, scurissimi e – nel caso della title-track – con una certa grandeur. Gli altri cinque sono pressoché di pari livello: adoro, ad esempio, le atmosfere di “Visceral Ends” (chi suona post-metal dovrebbe mettersi all’ascolto) e la drammaticità di “Drawn Into The Next Void”.
Spero che ci siamo capiti.