TYTUS, Rain After Drought [+ il video di “Disobey”]
Non stupisce che sia la Fighter Records (costola hard’n’heavy di Xtreem Music) a occuparsi del secondo album delle nostre vecchie conoscenze Tytus (Trieste), già finiti nel nostro radar ai tempi del debutto Rises. Così, dopo avervi già segnalato un primo estratto del disco, oggi abbiamo la possibilità di offrirvi un nuovo video in anteprima e ne approfittiamo per parlarvi in modo esteso di questo Rain After Drought, un lavoro che colpisce il bersaglio con un metal potente e al contempo ricco di dettagli, retrò nel suo guardare dritto agli Ottanta e all’epopea d’oro del genere (quando la NWOBHM superò l’Atlantico dando vita alla scena power/speed made in USA) quanto dotato di personalità e in grado di farsi apprezzare anche oggi.
La band ora è più coesa ed ha affinato le sue armi, si vede chiaramete la capacità di unire up-tempo carichi di energia con la voglia di imprimersi in mente grazie a cori orecchiabili e linee melodiche azzeccate (sentire “The Storm That Kills Us All”), così come l’attenzione nel costellare i brani con piccoli dettagli e incastri che lasciano nell’ascoltatore l’impressione di un lavoro curato in ogni singolo particolare e mai lasciato al caso. Succede così che un album di metal tradizionale – che nulla sembra aggiungere a una ricetta ormai diventata dogma – provochi più di uno sussulto e lasci interdetti sulla apparente facilità con cui questi guastatori da sempre attivi nella scena punk e hardcore (grazie a band come Gonzales, La Piovra, Ohuzaru, Eu’s Arse e Upset Noise) riescano a cogliere con la loro musica i segreti meglio riposti e più ambiti della formula del metal, tanto da lasciare al palo concorrenti da sempre impegnati nella ricerca del sacro Graal.
Rain After Drought ha in sé il piglio anthemico, il mood epico, l’energia delle cavalcate a briglia sciolta, la tecnica (mai fine a sé stessa). Corre sul filo tra linguaggi (speed, power, thrash) e ne evita i cliché più triti per bilanciarne i vari aspetti e non mostra cadute di stile evidenti, così da tagliare il traguardo senza che la fame di metal si sia tramutata in indigestione. In realtà, l’unico difetto reale di un album simile sta solo nel suo guardare al passato e glorificare un’epopea al netto di ogni impulso d’innovare, il che a qualcuno potrà non bastare, ma quando la difesa del castello è fatta con tale passione e convinzione, anche un rivoluzionario ben potrà concedersi una sua scorribanda nel regno dei conservatori. Alla fine l’intelligenza sta proprio nel cogliere ciò che ha in sé la scintilla vitale rispetto alla pedissequa ripetizione dell’amanuense. Se, poi, questo tipo di metal non fa al caso vostro o vi serve per forza il brivido della novità, il consiglio è quello di guardare oltre, ma se ancora siete in grado di emozionarvi per un disco della mitica Black Dragon Records uscito negli Ottanta e ancora avete bisogno di una robusta dose quotidiana di metal, questo è il nome che fa per voi. Artwork targato Solo Macello come ciliegina sulla torta. Buon headbanging.