TV LUMIÈRE, Il Gioco Del Silenzio
Il ritorno dei TV Lumière è coerente, sabbioso e profondo. Coadiuvati in sede di regia da Amaury Cambuzat e visitati dagli spiriti amici, la loro ispirazione è compatta e tramite il vocione di Federico Persichini ci trasportano attraverso vicissitudini. Le percussioni di Yuri Rosa sembrano a tratti riprendere i battiti di un cuore come nella splendida “Delirio”, in una unione fra vita, vissuto ed elaborazione. Siamo lontani dal pop e dal cantautorato, piuttosto ci troviamo in un’espressione folk che prende le mosse dal cantautorato più tormentato, rendendo assolutamente credibile la loro storia. L’aria sembra rarefatta, difficoltosa, in un percorso sofferto che passa attraverso la coscienza e la propaganda di “Manifesto”, gioiello che sembra uscito dagli anni Ottanta più dolorosi. Il dolore, l’incomprensione, le misure sbagliate degli incastri che la vita ci sottopone: questo trasportano i TV Lumière, decodificando segnali con una musica che profuma di amaro erbaceo, di legno e di freddo. Il Gioco Del Silenzio è un album che va maneggiato con cautela, non è lenitivo e potrebbe darci la mazzata definitiva nei momenti meno adeguati. Ma è anche un disco necessario per accogliere il passaggio del tempo, soprattutto quando si inizia a conteggiarlo in inverni e non più in primavere, silenziosamente cercando scambi con chi non necessita più di verbalizzazione. “Per Confortare Il Tuo Pianto” è una spalla strumentale che scivola e sulla quale possiamo ripulire i nostri dotti lacrimali, a dimostrazione di come la musica sia onesto conforto. Ma in realtà qui non c’è consolazione o abbellimento, ma specchi e asprezza come si conviene, tabacco da masticare e secrezioni. Spesso i brani e le parole ci rimbombano in testa come pura coscienza o pensiero critico, barcollanti ed esili ma potentissimi, quanto il flusso di coscienza di un sonnambulo. “Nella Spirale Del Silenzio” è pura catatonia che stringe lo stomaco, un gorgo che si fa via via più oscuro anche con la seguente “Eppure L’ho Persa”, tragico lamento che spegne del tutto la luce. Si riaccende per un secondo in un western lambiccato, Swanz a dar manforte a una “Ultima Corsa”, fra amici e banditi. “Mondanità” chiude fra dramma e tenerezza, simile ad una fiammella nel freddo e nell’oscurità. Vitale, preziosa, necessaria, proprio come alcuni dischi.