TURIAN, No Longer Human
È uscito il 5 di agosto il quarto album dei Turian, No Longer Human, per la Wise Blood Records. Sostanziale novità, che fa da pilastro portante, è la direzione sonora, decisamente più noise e hardcore che in passato. Ci sono ancora gli elementi che contraddistinguono lo stile definito della band di Seattle: blast-beat che esplodono da momenti di pausa, leggeri accenni sludge con le classiche scomposizioni ritmiche in terzine e a volte citazionismo thrash nei temi portanti dei brani.
Originariamente un power trio composto da Ryan Moon (chitarra), Cris Sanchez (basso) e Andrew Nyte (batteria), i Turian si alternavano dietro al microfono. Durante la pandemia e dopo l’uscita dell’album omonimo nel 2020 c’è stata un’aggiunta alla formazione: Veronica “Vern” Metztli, che con la sua voce dà all’insieme una nota tagliente e uno stile più post-hardcore, lontano parente dei Modern Life Is War e dei Touché Amoré dell’amatissimo “Horse” album.
No Longer Human si presenta come un disco eterogeneo di dieci tracce, lunghezza accettabile per le nuove generazioni e che non deluderà i seguaci più conservatori della band. Disco slow cook, scritto durante la chiusura generale dovuta alla pandemia. Si intravede che la scrematura ha portato alla migliore produzione di una band all’apparenza prolifica, che ha però avuto il coraggio di fermarsi e analizzare la migliore svolta durante un periodo in cui la fervenza e l’impazienza sono state la chiave di lettura di giornate passate sui balconi o, come me, nei parchi del sud-est londinese.
C’è, come detto, un connubio tra nuovo ed antico, e un compromesso storico che aleggia per tutta la durata di un disco che potrebbe essere una delle migliori pubblicazioni dell’estate ’22. Sin da “Slowdeath”, traccia di apertura dell’album, la band concretizza generi ed influenze con variegati fraseggi tecnici che accompagnano per mano l’ascoltatore lungo un ben delineato percorso. Interessanti e freschi i breakdown ritmici e la ripetitività ossessiva nell’ultima parte di “Ten Misfortunes”, di sicuro uno dei pezzi migliori, tra l’altro con una matrice più “radio friendly”.
Un altro successo, quindi, e una buona virata stilistica per il quartetto di Seattle, con l’ascoltatore che può apprezzare il disco per intero senza stancarsi o distrarsi, vista la costante ricerca stilistica e l’amalgama generale.