TROUM & YEN POX, Mnemonic Induction
Il primo ascolto di Mnemonic Induction risale a qualche anno fa, ed anche se fu una buona impressione, ahimè, l’abbandonai in un cassetto sepolto da tonnellate di cassette stravaganti, alcune delle quali ancor oggi da sentire. Due elevato al quadrato? Proprio così, livello artistico stratosferico per una collaborazione risalente alla fine dei Novanta e che sfocia nel 2002 (prima edizione) in quest’album, oggi rimasterizzato e presentato con differenti artwork e copertina.
Da una parte il drone germanico trascendentale dei Troum (già Maeror Tri e prima ancora Screaming Corpses, che adoro alla follia ma dei quali ancora non c’è segno di ristampa) e dall’altra il dark ambient americano – quello industrial, quello che fa male, quello che prende a bastonate creando violacee tumefazioni allo stomaco – degli Yen Pox, tornati da poco sul palcoscenico mondiale dopo una assenza di quasi tre lustri (con Between The Horizon And Abyss, per Malignant). Quattro lunghe tracce in cui convergono, ovviamente, industrial, drone e dark ambient, per 63 minuti di perdita di conoscenza sensoriale e depressione. Di recente qualcuno mi ha fatto notare che il disco ha una profondità spaziale che non serve più guardare le foto di Plutone. Ci può stare, ma a questo punto voglio che mi passi le sue droghe, neh. Soggettive diverse, personalmente trasmette immobilità, pesantezza e asfissia, come essere incatenati con zavorre in piombo all’interno di una capsula a tenuta stagna dentro una camera iperbarica, appesantita a sua volta da vernice anticorrosiva e abbandonata nella più abissale fossa oceanica, in una caverna ricoperta da pareti in uranio impoverito. Ecco, se profondità dev’essere, che almeno sia claustrofobica, con la quiete disturbata soltanto dal brusio provocato dai filamenti incandescenti delle lampade di una raffineria aliena sottomarina.
Acquisto consigliato, buone vacanze e… best drones.