Tra Saturno e la California
Era impossibile, non poteva certamente esistere un disco del genere. C’era un errore oppure il mio amico si confondeva. Soltanto quando ebbi in mano il cd dovetti ammettere che era tutto vero. Sun Ra e la sua Arkestra insieme a Phil Alvin dei Blasters. Roba da Guida Galattica per gli Autostoppisti. Un “Sung Stories”, di Phil Alvin with Sun Ra & His Arkestra, scritto in bella evidenza sulla copertina. Ma guarda te che cose si vanno a scoprire.
I Blasters sono un gruppo californiano parte di quella prima ondata punk americana che però declina il furore e l’energia del genere in una riscoperta e attualizzazione delle proprie radici, il rock’n’roll a forti venature blues. Meno sperimentali dei losangelini X, e sicuramente lontani dai Black Flag di Henry Rollins (peraltro un loro grande fan), i Blasters dei fratelli Alvin, Phil alla voce e Dave alla chitarra, sembrano condividere le sonorità e le idee di un altro grande gruppo di quella scena, i Gun Club. Rispetto alla band di Jeffrey Lee Pierce hanno un approccio più rock blues e meno psichedelico e maggiore maturità e sale in zucca.
Una manciata di lp, tra i quali sono da segnalare The Blasters e Hard Line, collaborazioni stabili con Steve Berlin e Gene Taylor, e ovviamente un’intensa attività live, con concerti infuocati e ribollenti di energia rock’n’roll. Tutto questo più o meno dal 1979 al 1985, quando un inquieto Dave Alvin decide di voler provare nuove esperienze e abbandona il gruppo. A quel punto, essendo Dave l’autore della stragrande maggioranza dei brani della band, i Blasters si sciolgono, quantomeno temporaneamente. Perché anche Phil, da par suo, è intenzionato a cimentarsi nella carriera solista. Ed è con grande sorpresa che proprio lui, battendo sul tempo il fratello, è il primo a pubblicare un disco a suo nome, con l’ausilio stupefacente di Sun Ra con la sua Arkestra.
Un “Sung Stories” esce per la Slash nel 1986 ed è un affascinante viaggio all’interno della musica afroamericana, alla presenza di una grande orchestra come quella di Sun Ra, ma anche con gli interventi della brass band di New Orleans The Dirty Dozen Brass Band e le magiche armonie spiritual dei Jubilee Train Singers. Inoltre, immancabili, il fratello di Phil, Dave Alvin alla chitarra, Gene Taylor, storico collaboratore dei Blasters, al piano e altri musicisti del giro rhythm’n’blues e rock’n’roll. Come si vede, un parterre di tutto rispetto e certamente inaspettato, soprattutto per la presenza di Sun Ra, visto che per esempio i Jubilee Train Singers avevano già collaborato con i Blasters in Hard Line.
Cosa ci fanno un pianista e la sua big band provenienti da Saturno, alfieri di un free jazz spaziale e all’avanguardia, sperimentali e spettacolari, vicino ad un bravo e onesto cantante rock che fin lì non aveva certo dato prova di voler chissà cosa osare? Eppure, alla fine, il risultato è ottimo. È come andare indietro nel tempo, nell’America degli anni ‘30 e ‘40, con l’orchestra di Sun Ra a scaldare i corpi come le big band di Count Basie e Duke Ellington, tra Harlem e Kansas City. Peccato sia presente solo in tre brani, ma va detto che il buon Phil Alvin allestisce un ottimo lavoro anche senza l’Arkestra, piazzando qua e là intensi blues e seducenti brani rhythm’n’blues.
L’apertura del disco è affidata a “Someone Stole Gabriel’s Horn”, un successo di Bing Crosby con la Dorsey Brothers Orchestra del 1933 (ma incisa per la prima volta nel 1932 dal gruppo vocale The Three Keys), in una frizzante e intensa versione insieme alla Dirty Dozen Brass Band di New Orleans. Un inizio folgorante, allegro e ricco di sapori black, con le atmosfere del primo jazz che ti scuotono la testa e le gambe. Phil Alvin, però, è deciso ad attraversare le diverse sfumature della musica afroamericana e così, da una situazione collettiva e vivace si immerge in una dimensione solitaria, una splendida “Next Week Sometime”, del chitarrista folk blues inglese John Pearse. Un Piedmont blues ben suonato dal fratello di Phil, Dave Alvin, che mostra la grande sintonia e la passione che i due fratelli hanno per la Musica del Diavolo.
E finalmente arriviamo a Sun Ra e la sua Arkestra, con i vari John Gilmore, Marshall Allen, Fred Adams e ovviamente lui, il nostro Herman Blount, al pianoforte. “The Ballad Of Smokey Joe” è un medley di successi di Cab Calloway: “Minnie The Moocher”, “Kicking The Gong Around” e “The Ghost Of Smokey Joe”. Gli arrangiamenti sono abbastanza tradizionali ma non per questo il brano non riluce di scintillante grazia ed energia. La voce con forti venature soul di Phil è mirabilmente accompagnata da un’orchestra che sembra appena uscita dal Cotton Club, con i break dei fiati puntuali ed incisivi, uno swing perfetto e quel pianoforte che tra le righe mostra la sua provenienza aliena. Complimenti a Sun Ra per la sua capacità di adattarsi, anzi di permearsi ad un suono e ad un’estetica traditional e a Phil Alvin per aver avuto l’idea di coinvolgere l’Arkestra in un progetto simile.
Come dicevamo, il cantante dei Blasters vuole cimentarsi nelle varie declinazioni della musica nera e quindi non potevano mancare le armonie e i sapori della musica religiosa, una delle radici più forti e presenti della cultura black. “Death In The Morning”, con l’accompagnamento dei Jubilee Train Singers, è un gospel che ci porta dentro le chiese afroamericane, con il pastore che grida la sua omelia e il coro dei fedeli che risponde con passione e incitamento. La prima facciata del disco si chiude con “The Old Man Of The Mountain”, un altro successo di Calloway, e ancora l’Arkestra ad incalzare Phil Alvin con swing e incursioni dei fiati. Un piccolo gioiello.
“Daddy Rollin’ Stone”, un energico e tagliente rhythm’n’blues di Otis Blackwell (registrato anche dagli Who nel loro secondo singolo, “Anyway, Anyhow, Anywhere” del 1965, come lato B) mostra un Phil Alvin di nuovo vicino alle sonorità dei suoi Blasters, con quel misto di rock’n’roll e blues che ha sempre contraddistinto la musica del gruppo. In “Titanic Blues” è di nuovo in solitudine, con il fratello Dave alla chitarra. La voce di Phil è come sempre calda ed avvolgente e il brano del poco conosciuto bluesman di St. Louis Hi Henry Brown è uno dei capolavori del disco. “Brother Can You Spare A Dime”, terzo brano della seconda facciata di Un “Sung Stories”, vede di nuovo la presenza di Sun Ra e della sua Arkestra. Qui l’arrangiamento di un classico degli anni ‘30 (divenne famoso nell’interpretazione di Bing Crosby nel 1932) sembra proprio portarci dalle parti del Mingus di Blues & Roots, con quell’incedere shuffle e il suono fuligginoso della Grande Depressione. Un brano in tonalità minore basato su una ninna nanna russa, reso ancor più ombroso e triste dalla tonalità scura della voce di Phil Alvin. “Collin’s Cave” è un traditional folk nel quale Phil Alvin è accompagnato dal violino di Richard Greene e dalla chitarra di Dave. Qui le atmosfere sono quelle country, delle ballate vicine al patrimonio irlandese, un tuffo nell’America bianca di Woody Guthrie. Il disco si chiude con un bellissimo blues di Peetie Wheatstraw (William Bunch il suo vero nome), cantante, pianista e chitarrista di St. Louis. Ancora una volta con il solo accompagnamento del fratello Dave alla chitarra, “Gangster’s Blues” ha un sapore nostalgico, commovente, ed è allo stesso tempo un grande omaggio alla musica nera, al blues, con il quale Phil Alvin conclude giustamente il suo viaggio.
Un “Sung Stories” è un disco prezioso, ovviamente non solo per la presenza di Sun Ra, ma per come viene trattato il materiale musicale e per l’accurata scelta dei brani, originali e significativi. La voce scura e tinta di soul di Phil Alvin accarezza e movimenta le linee melodiche alla maniera dei grandi cantanti blues, lasciandoci con l’amaro in bocca per non aver proseguito l’esperimento. In una sua intervista, Phil, riguardo la partecipazione di Sun Ra e la sua Arkestra ad Un “Sung Stories”, disse che gli sembrava una specie di sogno, un’esperienza mistica. Sun Ra sedette al pianoforte per diciotto ore di seguito e si alzò una sola volta per andare in bagno. Come punto di riferimento per le sonorità e gli arrangiamenti si trovarono d’accordo nell’indicare Fletcher Henderson. Ma la cosa più incredibile è che Phil Alvin, in qualità di cantante, fece anche alcuni concerti insieme a Sun Ra e all’Arkestra! Chissà se un giorno usciranno delle registrazioni di questi live. Di sicuro avrei voluto essere lì, mentre Sun Ra volava nel cosmo, tra Saturno e Marte, e Phil Alvin lo inseguiva chiamandolo a gran voce dalla Terra del Blues.
P.S.: un ringraziamento speciale va a Gianni Franchi, storico bassista della Jona’s Blues Band, che mi ha fatto conoscere questo disco.