TOSHIMARU NAKAMURA, Re-Verbed (No Input Mixing Board 9)
Fra le cose che stuzzicano volentieri la mia smisurata curiosità ci sono quelle parole straniere che risultano intraducibili nella nostra lingua: penso che dicano molto sulla specificità culturale di un popolo e aprano spunti di riflessione sulla propria. In giapponese c’è una parola, shoganai, che più o meno in italiano corrisponde all’espressione “ciò che non può essere evitato”: essa implica l’accettazione di ciò che avviene al di fuori del nostro controllo, frutto di quell’arrendevolezza che nel pensiero orientale riveste grande peso, quella cedevolezza che è alla base, ad esempio, dell’arte marziale del jujitsu. Ebbene, non mi pare un caso che fra i pionieri dell’arte del no input mixer ci sia un giapponese, maestro indiscusso nel gestire e spesso assecondare la perdita di controllo che è connaturata nel mezzo d’espressione stesso da lui scelto. Questa tecnica, che sfrutta i feedback innescati collegando le varie entrate e uscite di un normalissimo mixer, ma senza alcuna fonte sonora in entrata, sembra essere una modalità magico-alchemica di produzione del suono, i cui esiti molto spesso sono effettivamente imprevisti quando non addirittura deleteri (pare che il no input mixer sia, per le sue caratteristiche di imprevedibilità e la conseguente ricaduta sugli impianti audio, l’incubo dei fonici).
Nakamura, un passato da chitarrista, comincia la sua ricerca musicale attorno a cursori e potenziometri alla fine degli anni Novanta e nel 2000 porta a termine il suo primo lavoro solista a titolo “No Input Mixing Board”: tutte le tracce ivi contenute (sarà così anche coi successivi) vengono, senza inutili sforzi di fantasia, identificate dalla sigla NIMB e da una numerazione che, in questo nono capitolo, è arrivata al #58. Con il tempo Toshimaru ha ampliato considerevolmente il proprio ventaglio sonoro, raggiungendo vette di incredibile raffinatezza in questa singolare pratica. Nella cartella stampa ci si butta avanti sostenendo che questo ultimo lp, il primo pubblicato dalla benemerita Room40 di Lawrence English, sia di gran lunga la cosa più musicale su cui Toshimaru abbia mai messo le mani, e in effetti è difficile dire il contrario come pure negare che sia fra i suoi lavori più riusciti. Da quel che sembra di capire dal titolo, e dando un’occhiata ai video trovati in rete, Nakamura utilizza in aggiunta al mixer pochi effetti – principalmente riverbero e delay – per le sue trame sonore. Queste andranno con facilità a stuzzicare l’orecchio di chi vuole sfuggire dalla gabbia delle sette note aprendosi a proposte musicali radicali che, come in questo caso, provano a ridisegnare in maniera originale il concetto di minimalismo. Le prime tracce possono risultare digeribili con un minimo di sforzo anche per chi sia digiuno di cose eccentriche come questa, con articolazioni ritmiche e armoniche efficaci e sonorità che sembrano riecheggiare da lontano una qualche forma di dub: cercare similitudini con territori conosciuti costituisce qui esercizio arduo. Progressivamente il bisogno di ritmo sembra cedere il passo a istanze ambient e noise, cresce il crepitio, i loop cominciano a slittare uno sull’altro, suoni aeriformi si mescolano ad un misurato bruitismo e il gioco è fatto: il giapponese sembra alzare mano dopo mano, quasi impercettibilmente, la posta del gioco e – se si ha un pizzico di curiosità – non resta che andare a vedere dove vada a parare.