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TORBA, Torba

Non abbiamo belle parole per dirlo, non crediamo nelle autocelebrazioni che caratterizzano i nostri tempi. Dal nulla veniamo e nel nulla finiremo.

I Torba hanno pubblicato il loro omonimo (e unico, demo del 2017 a parte) disco nel giugno del 2019. Sì, l’anno del governo prima gialloverde e poi giallorosso, di Giuseppi che bastona Matteo al Senato, delle Sardine in piazza, del fallito impeachment contro Donald Trump. Col senno di poi: che bei tempi.

L’uscita dell’album ha rappresentato il capolinea per il trio pugliese, una breve avventura cosparsa di suoni massicci, orecchie triturate e palchi demoliti. Sciolti, on indefinite hiatus, come dicono quelli veri, o fuggiti su un altro pianeta per scampare al 2020? Chi lo sa? Chi se ne frega, del resto. Il terzetto aveva ormai partorito questo bambino mezzosangue, un ibrido di sludge e hardcore con qualche lineamento noise a incasinare ancora di più la genealogia, lo aveva allevato a suon di live e, finita la gestazione, lo aveva lasciato libero di andare per il mondo. Il compito di genitori si era esaurito, quindi – dal mio punto di vista – l’oblio è una scelta perfettamente comprensibile: libera soprattutto dalla preoccupazione di dover pensare a scrivere un degno secondo capitolo, di cercare live in un paese dove è maledettamente difficile farne e di mantenere alta l’attenzione dei follower sui social.

Torba da cronometro dura una mezz’oretta, ma sembra un’eternità. Il nome rende perfettamente l’idea del sound proposto: mucchi e mucchi di grezzume, pile di distorsioni che più sporche non si può, bordate di basse frequenze e la batteria che ti martella il cervello dall’inizio alla fine, il tutto con un occhio rivolto verso gente come Converge, Cursed e Trap Them. Come è lecito aspettarsi da titoli quali “Lasciati Divorare”, “Cielo Corroso”, “Il Fallimento” ed “Hey Sventura” (geniale!), le atmosfere dipinte da queste nove tracce evocano desolati paesaggi urbani e realtà distopiche, sensazioni controbilanciate dalle fiamme della ribellione che divampa laddove il disagio della vita quotidiana si fa intollerabile.

S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo, diceva Cecco Angiolieri nel suo famoso sonetto. Penso sarebbe stato fiero di questi Torba, ma sono anche convinto che si metterebbe le mani nei capelli vendendo come campano gli artisti di questi tempi, condizionati dai quanta gente mi porti nel locale, dal numero dei like e degli ascolti su Spotify, le moderne rotture di cazzo che forse hanno impedito al gruppo di bruciare più a lungo.