TONY BUCK, Unearth
Un vaso si rompe. Cominciano i ricordi
Sembra prendere spunto dall’iconica sentenza di Abilio Estevez il nuovo lavoro per la Room 40 di Lawrence English di Tony Buck, batterista degli imprendibili australiani Necks.
Ciottoli percussivi a mettere in scena un campionario di suoni scabro e febbrile, da giungla astratta, una rullata lieve che non risolve in nessun climax, enigmatici gong, ronzii come di insetti, una sottile ansia ritmica che sa più di Xanax che di Zen: così l’inizio di quest’unica, lunga (più di 50 minuti!) composizione. Poi entrano una chitarra drammatica e sbilenca, efficace nel suo incespicare western e voci giapponesi (a dire il vero un poco gratuite), e la tensione invece di accumularsi svanisce sui colpi sornioni ma non suadenti di un contrabbasso, mentre il fiume di percussioni continua a scendere senza sfociare in un’idea forte. Purtroppo le cose procedono in questa maniera fino alla fine del pezzo, con l’alternarsi di fasi più o meno ispirate. Va meglio – ma ci voleva a dire il vero poco – nel finale, quando il classico sfarfallamento di piatti che abbiamo imparato ad amare coi Necks manda in gloria una babele di suoni ascensionali e divergenti. Non basta però per risollevare le sorti di un disco al quale ci eravam predisposti in modalità volo e che invece finiremo per non riascoltare.