TONS, Hashension
Sono passati giù quattro anni dal precedente Filthy Flowers Of Doom e uno dallo split con i Bongzilla, sorta di certificazione d.o.c. per gli ambasciatori italiani della scienza botanica applicata: del resto, non bastasse il nome del disco, arrivano in aiuto titoli che non fanno nulla per nascondere il raggio d’azione e l’immaginario di riferimento della band torinese. Gli stessi brani, poi, palesano anche il loro forte sense of humour con giochi di parole che chiamano in causa un pantheon che va dai Beatles agli Obituary, niente male per una formazione che ha le radici affondate nella scena hardcore torinese, matrice che fornisce una spinta in più alla scrittura. Questa, non credo serva aggiungerlo, non si palesa certo nella velocità di crociera, che resta ben piantata nei pachidermici ritmi cari al culto dello stoner-doom cui i Tons non fanno mistero di aderire, piuttosto dona un che di ruvido e aggressivo, poco incline a manierismi di sorta o ammiccamenti piacioni verso una platea generalista. Non mancano neanche le sorprese, come in “Slowly We Pot” che sembra uscito dalla penna degli Unsane qualora avessero deciso di muoversi su queste coordinate, con quel retrogusto noise della Grande Mela a spiazzare l’ascoltatore e impedire che l’incontro con Hashension viaggi su coordinate prevedibili o troppo scontate. Certo, non stiamo parlando di un lavoro eretico quanto del frutto di una band che ha accumulato l’esperienza e l’arsenale per permettersi di inserire qualche spezia inattesa, sia essa una spinta psichedelica o una sporcatura punk, così da uscire dalla definizione di manierismo tipica dei tanti amanuensi stoner in giro: nulla di male ad esserlo, ma quando come in questo caso ci si confronta con qualcosa di non pedissequo e con il guizzo in più, le cose non possono che rivelarsi più interessanti. Altro aspetto che merita di essere sottolineato è come si avverta forte la presenza di un paesaggio ben delineato, un teatro di posa fatto di paludi, melma e capanne con le assi alle finestre, anfibi e rettili acquatici, moonshine e legami familiari più stretti di quanto sia lecito ammettere: insomma luoghi in cui non andreste a fare una gita in canoa con gli amici se questo vi fa suonare qualche campanello di allarme nella memoria. Potremmo dilungarci oltre, ma credo che quanto finora detto sia di per sé sufficiente a dare l’idea di un album che sa tanto di conferma e proclamazione del vincitore, almeno in questa categoria di peso e in questo campionato dopato per regolamento.