TONS, Filthy Flowers Of Doom
I Tons non hanno certo bisogno di presentazioni, oltretutto, qualora ci fosse qualche bella addormentata nel bosco, piazzano in copertina un titolo come Filthy Flowers Of Doom, che a casa mia spiega cosa andremo ad ascoltare meglio di tante parole arzigogolate. Quindi: sludge oscuro e feroce, culto del doom più pesante, riff slabbrati e voce al vetriolo, chitarre sature e una sezione ritmica pachidermica, sample di voci in sottofondo e dilatazioni con un retrogusto psichedelico che non riescono, comunque, ad alleggerire la cattiveria di un lavoro che non teme rivali nel suo campo. Quel Flowers nel nome prescelto mi riporta in mente tal “Flower Of Disease” (se devo spiegarvi di cosa parlo, tanto vale far le valigie e andare a casa): che sia un omaggio voluto o una mia reazione pavloviana poco conta, perché aiuta a unire altri puntini all’interno di un magma sonoro che cola esattamente dove i suoi creatori vogliono, come un acido lasciato gocciolare sul cranio della vittima e capace di infiltrarsi nelle pieghe del cervello per corrodere tutto ciò che incontra lungo la sua avanzata. La personalità dei Tons viene fuori, più che nella scelta del linguaggio, nella voglia di bilanciare gli ingredienti senza annoiare il proprio pubblico, nell’offrire ciò che ci si aspetta senza per questo apparire scontati o far la figura di meri amanuensi intenti a ricopiare i testi sacri. Del resto, basta far partire le danze per comprendere come qui si faccia sul serio, merito anche di due tecnici d’eccezione come Dano Battocchio e Brad Boatright (e anche qui non credo serva spiegare chi siano), i quali apportano il loro tocco e la loro maestria nel conferire al tutto la giusta timbrica e il giusto volume di suono senza che si perda la possibilità di apprezzare ogni singola sfumatura. In breve, non ci son cazzi, se quello che cercate è del sano sludge doom di qualità superiore, Filthy Flowers Of Doom è il disco che fa per voi, con buona pace di chi non riesce a comprendere la morbosa bellezza di simili sonorità. Unica raccomandazione: play it loud, mutha!