TOMYDEEPESTEGO, Fears
Ne è passato di tempo dall’omonimo TMDE, uscito nel 2016, un lungo periodo in cui la band ha lavorato alla creazione di un nuovo album, senza tanti proclami o annunci. Anzi, ad essere sinceri, l’arrivo di Fears ci ha preso in contropiede nel suo essere un album che non ha intorno a sé chissà quale storia o campagna di marketing: sta lì in bella luce sul Bandcamp della formazione e può essere scaricato o ascoltato in streaming sulle usuali piattaforme di musica digitale, è autoprodotto e si avvale dell’apporto di alcuni nomi noti in cui siamo incappati spesso, ovverosia Valerio Fisik (Hombrelobo Studio) e Riccardo Pasini (Studio73) per le registrazione e la masterizzazione, David Battistini (Disquieted By, Zambra, Bennett) alla voce e, infine, Andrea Lazzara (The Phoenix) alla chitarra. Tutto qui, tutto semplice e giocato sulla semplicità da chi in fondo vuole che l’attenzione sia concentrata sulla musica. Fears è, infatti, un disco che si racconta da solo grazie a sette composizioni strumentali, a parte il già citato ospite sulla prima traccia cantata, figlie di un percorso iniziato nel 2006 e che ha visto i Tomydeepestego affinare sempre più il loro post-core strumentale, ricco di richiami al post-rock e alla psichedelia, in grado di tratteggiare veri e propri affreschi in note ricchi di cambi di umore e di crescendo che ne aumentano l’impatto emotivo e impediscono all’ascoltatore di annoiarsi. Fears non fa eccezione, anche se – in linea con il titolo – mostra un tratto più oscuro, un’inquietudine che pervade la scrittura e rende il tutto meno rassicurante, mantiene la potenza acquisita ma la rende instabile, così da creare brani al contempo robusti e fragili, come si intuisce sin dalla melodia malinconica che irrompe nell’iniziale “Empress” e rende meno stentoreo il crescendo della traccia. Così, ogni brano di Fears appare ricco di umori contrastanti, mostra delle nubi all’orizzonte o suggerisce un senso di minaccia incipiente, segno che la band ha ormai il pieno controllo dei propri mezzi espressivi e riesce ad utilizzarli per comunicare anche senza l’utilizzo delle parole. Discorso a parte merita “The Big Bad Red Wolf”, in cui i musicisti si mettono in gioco e accettano di interagire con la voce, incuranti dei rischi di alterare un modus operandi ormai consolidato e abbastanza coraggiosi da chiamare in causa un cantante dalla personalità spiccata e ben poco incline a un ruolo di semplice gregario come David Battistini. L’esperimento riesce e apre possibili scenari per sviluppi futuri, anche se più probabilmente resterà una deviazione momentanea per quanto godibile o almeno questo è quanto ci è possibile sapere oggi. Di certo è che i Tomydeepestego continuano a convincere e si confermano tra i nomi di punta nella loro categoria. Non male se si pensa ad un linguaggio che qualche tempo fa ha subito una forte esposizione mediatica e, dopo un momento di saturazione, vede oggi restare sul campo solo le realtà più valide, tra cui gli autori di Fears appunto.