TOMEKA REID QUARTET, Old New
Old New segna la definitiva entrata nella hall of fame del jazz “progressista” del secondo millennio per la violoncellista Tomeka Reid. Il suo apporto alla scena d’avanguardia spazia senza soluzione di continuità dalla composizione agli arrangiamenti e alla produzione, ma è conosciuta soprattutto per le sue capacità performative. Un indiscusso coraggio espressivo è mescolato con saggezza a un’evidente sapienza compositiva: raffinata ed elegante, le sue elaborazioni muovono dal bisogno di rinnovare il codice linguistico senza storpiare la tradizione. Tutto questo fa di lei un punto fisso nella costellazione musicale negli States di oggi. Letteralmente, il vecchio e il nuovo si addensano e vivono in equilibrio lungo i solchi di tutto questo suo secondo album. Slanci verticali e vertiginosi segnano i momenti più difficili per arditezza e vocazione sperimentale, ciononostante tali sferzate si annodano, senza apparenti difficoltà, ai chiarissimi riferimenti ai capisaldi linguistici universalmente riconosciuti del jazz afroamericano di Chicago e al contempo alla naturale inclinazione “classica” del violoncello. Un’attitudine che ha del miracoloso e che Tomeka riesce a gestire con grande maestria.
Il lavoro si apre con il pezzo forse più rappresentativo dell’intero armamentario sonoro e poetico della violoncellista. Nel suo scorrere si riconoscono le atmosfere care alla Chicago degli anni Settanta del secolo scorso. La sezione ritmica disegnata dalla batteria e dal contrabbasso è incalzante quanto raffinata e accoglie le articolate variazioni di Tomeka, in comunicazione diretta con i “toni chiusi” della chitarra di Mary Halvorson, l’altra donna in formazione. L’incedere del brano, nervoso, sincopato, stridente, saltellante, è interrotto da luminose distensioni melodiche che cambiano il colore all’ambiente, il violoncello di Reid è un ponte che rende possibili continui salti temporali che spaziano dalle immagini della memoria, molto simili a quella che compare in copertina, fino a quelle più contrastate che raccontano la fretta nevrotica delle metropoli americane.
L’album continua con l’eccentrica “Wabash Blues”, un ordito armonico fitto ma irregolare, strutturato su una serie di trame giocate tra chitarra, violoncello e batteria ad altissima intensità ritmica. La formula sembra continuare nella bellissima e appassionata “Niki’s Bop”, un omaggio festoso e scanzonato alla sua cara amica e mentore Nicole Mitchell, flautista e compositrice straordinaria. Una vena più introversa, però, s’insinua nelle maglie musicali, una sfumatura più intima e a volte melanconica compare a tratti per poi essere sopraffatta dai pattern ritmici e dalle incursioni timbriche delle corde, come accade in “Aug 6”.
Reid chiude l’album con “Peripatetic”, una melodia ispirata ad Anthony Braxton, un altro grande del mondo jazz d’avanguardia proprio di Chicago; da lui si arriva direttamente a Coltrane a completare il pantheon di mostri sacri con cui lei cerca di dialogare senza per questo apparire mai anacronistica, senza forzature reverenziali. Il suo è un omaggio a una generazione di innovatori ed è il frutto di collaborazioni reali: tanti i nomi illustri, molti compaiono tra i fondatori dell’Association for the Advancement of Creative Musicians di Chicago (AACM), ma soprattutto con Braxton e Mitchell Tomeka ha condiviso palchi importanti che le hanno fatto acquisire una memoria poetica da cui partire per le sue personalissime variazioni, alterazioni di un gergo strutturato su strumenti lontanissimi dal violoncello e dalla sua natura. In Old New si ha la forte sensazione di assistere alla mutazione dell’essenza stessa dello strumento: Reid adagia le caratteristiche timbriche del violoncello (i suoi cromatismi sonori che fanno subito pensare al mondo della musica classica) sulle forme jazzistiche che a loro volta accolgono e avvolgono questa metamorfosi, mantenendo integro e visibile tutto il bagaglio di una musicista che si pone quindi alla guida una piccola, grande rivoluzione.
Credo che sia anche questo tipo di approccio non convenzionale ad aver fatto approdare una musicista come Tomeka Raid alla Cuneiform, etichetta storica che ha in questi ultimi anni saputo rinnovarsi e che oggi si pone nel panorama USA proprio nel frangente liminale della musica che si trasforma e si rigenera, nel flusso continuo delle contaminazioni possibili e soprattutto lontano dalle costrizioni stilistiche, senza steccati, in piena e consapevole libertà espressiva.