TIRESIA, Tiresia
Ammetto di non aver visto “I Cannibali” di Liliana Cavani, film in cui Pierre Clementi interpreta un personaggio di nome Tiresia e da cui Bruno Dorella (OvO, Ronin) e Stefano Ghittoni (The Dining Rooms) dicono di aver tratto l’ispirazione per questo disco. Ma i meccanismi della suggestione sono difficili da ignorare, e durante l’ascolto di queste due lunghe tracce edite in cassettina per i tipi della Bronson Recordings, non è difficile pensare alla figura mitologica del profeta accecato (e alla sua “sconsolata veggenza”, di cui parlava Eliot), che tutto predice e conosce ma che è costretto a rimanere impotente a osservare. Anche in questa mezz’ora abbondante di musica pare si rimanga fermi a osservare in uno scenario desolato qualcosa in lontananza, un qualcosa che man mano si avvicina e riempie il campo visivo una volta giunto in prossimità, ma che una volta attraversato ci rimanda al punto di partenza. Le sonorità sono statiche, minimali e ricorsive, con la componente elettronica che disegna con pochi elementi gli ampi spazi in cui il suono della chitarra evolve da note sparute che si perdono nell’eco a pennellate di drone o a cortocircuiti disorientanti. Un’atmosfera contemplativa e un incedere per stratificazione che in “Inside” prende le mosse da una sorta di simulacro sonoro delle onde del mare miste a un segnale di soccorso e in “Outside” da riverberi dal sapore di gotico americano che giungono a texture ambientali in odor di Tim Hecker (con qualcosa degli Zu di Jhator qua e là). In ultima analisi, un lavoro sicuramente suggestivo, che soffre probabilmente di un eccessivo “stiracchiamento” delle idee proposte, ma che rappresenta un esperimento riuscito di collaborazione tra due musicisti con background molto diversi.